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Pescara, 24/07/2024
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Data: 27/11/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Rigopiano, i soccorsi ostacolati da pressioni politiche

Anche Claudio Ruffini, il segretario personale del presidente della Regione Luciano D'Alfonso, era molto attivo al telefono la mattina del 18 gennaio scorso, quando la storia maledetta dell'hotel Rigopiano subì la prima sterzata verso la tragedia a causa della fase choc di Paolo D'Incecco, dirigente del servizio viabilità della Provincia: «Quello dell'albergo non deve rompere il c...». E anche le telefonate di Ruffini, all'epoca indagato per gli appalti della Regione, sono finite tra gli atti dell'inchiesta che da oggi i difensori dei 23 indagati cominceranno a consultare. Nella loro informativa, i Carabinieri del Noe le ritengono utili per disegnare un quadro di totale disorganizzazione della macchina dei soccorsi, in cui a brillare sono più che altro le richieste di intervento mediate dalle segreterie politiche. Ruffini, al pari del funzionario della Provincia Mauro Di Blasio, avrebbe smistato ad una catena di comando già in affanno una raffica di richieste politiche. Conversazioni più neutre nei toni, rispetto alle tre telefonate della vergogna che aggiungono tinte forti alla tragedia, non direttamente rilevanti sul piano penale, eppure utili a definire un contesto di totale impreparazione e inefficienza delle strutture di soccorso alla popolazione.
GLI ORARI
Intorno alle 9,30 del 18 gennaio, quando D'Incecco imprime sui nastri della squadra mobile la brutta risposta alla richiesta di aiuto arrivata da Rigopiano, è ancora la Provincia di Pescara a guidare le operazioni di soccorso, perché la sala operativa della Prefettura verrà aperta soltanto un'ora più tardi. E funzionari e dirigenti sembrano prestare più ascolto alle segreterie politiche che alle vere priorità dettate dalla situazione sul campo. Un dato di fatto sul quale la Procura ha costruito la contestazione di disastro colposo, omicidio colposo plurimo e lezioni personali a carico del filone provinciale degli indagati. Un punto fermo dell'inchiesta che apre obiettivamente il campo a una guerra tra le difese sul maggior peso della disorganizzazione a valle rispetto alle colpe storiche ricostruite a monte della tragedia: la mancanza di una carta regionale del pericolo valanghe, le generose autorizzazioni concesse dal Comune di Farindola alla proprietà dell'hotel, l'assenza di un piano regionale avallata da almeno tre sindaci per non ostacolare gli ampliamenti della struttura. Una guerra di tutti contro tutti che si trascinerà fino all'aula del dibattimento.

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