PESCARA Giorni difficili, ore concitate quelle che hanno preceduto la tragedia di Rigopiano. Un caos organizzativo tra isterismi collettivi e qualche risata di troppo. Luciano D'Alfonso non è coinvolto a nessun titolo nell'inchiesta aperta dalla procura di Pescara per accertare la fine dei 29 vacanzieri travolti dalla valanga mentre, con i bagagli in mano, aspettavano da ore che qualcuno liberasse la strada del resort dalla neve. L'unica che avrebbe potuto riportarli a casa. Per una volta il governatore non dovrà presentarsi di fronte a un magistrato per chiarire. Ma sulle intercettazioni telefoniche che continuano a trapelare, ha voluto dire la sua, anche per allontanare i dubbi sulle responsabilità politiche, se non penali, proprie e dei suoi più stretti collaboratori.
La premessa: «Sul caos della macchina dei soccorsi è giusto attendere le valutazioni finali delle indagini. Ricordo solo che in quel momento si sono riversati sull'Abruzzo 20 milioni di tonnellate di neve, più i terremoti, più gli inconvenienti logistici, come le interruzioni dell'energia elettrica, la viabilità inagibile». Detto questo, D'Alfonso viene subito alla telefonata con il dirigente della Provincia di Pescara, Paolo D'Incecco (uno degli indagati nell'inchiesta su Rigopiano) per chiarire il senso di quella sua frase estrapolata dalle intercettazioni («...dobbiamo sistemare le cose sul piano documentale, tu lo capisci che voglio dire?»). «La mia telefonata - spiega il governatore - fa riferimento a un solo contesto: la richiesta dello stato di emergenza da inoltrare a Palazzo Chigi. Si trattava di raccogliere tutta la documentazione, anche attraverso i danni accertati dalle forze dell'ordine, che poi avrebbe costituito l'atto attraverso cui, il 22 gennaio, il governo ha poi emesso il Decreto per il riconoscimento dello stato di emergenza in Abruzzo. Dissi a D'Incecco: metti insieme tutta l'istruttoria e fammi pervenire i plichi perché devo consegnarla alla Protezione civile». Altra telefonata sotto tiro, quella dell'ex capo di gabinetto del presidente, Claudio Ruffini (non indagato) che secondo alcune interpretazioni avrebbe utilizzato una sorta di filtro politico nella gestione dell'emergenza, dando la precedenza ad alcuni territori a discapito di altri, sempre su input del governatore: «Il 18 gennaio - precisa D'Alfonso - Ruffini si è solo prodigato per far sì che aumentasse il numero dei mezzi necessari a fronteggiare l'emergenza. Le segnalazioni che arrivavano venivano sovrapposte tenendo conto della comparazione degli interventi. Ho ricevuto tante telefonate in quei giorni: sindaci, imprenditori, albergatori, anche in relazione alla inagibilità di alcuni ospedali, come quello di Atri. A Passolanciano salivano e scendevano decine di pullman: 200 bambini erano bloccati dalla neve. Morivano gli animali. Mi fu persino contestato di avere chiesto con troppo anticipo l'invio dell'Esercito».