ROMA «Quanto ci porta Pietro Grasso? Al massimo l'1 per cento», dicono i più realisti. In mezzo al pienone della convention della cosa rossa che dice di non voler essere tale ma per ora lo è nonostante che per non sembrarlo - «Aspiriamo a parlare a tutti», dice il neo-leader - il colore rosso sembra bandito in questa sala. Di vermiglio c'è solo la cravatta, alla Jeremy Corbyn, che sfoggia Grasso con orgoglio da old Labour. Ma Corbyn, piaccia o non piaccia, ha un percorso e un riconoscimento pop che l'ex pm non può vantare e Jean-Luc Mélenchon in Francia, altro eroe di sinistra-sinistra cui si vorrebbe che somigliasse, ha una malizia da seduttore impensabile per il presidente del Senato. Dunque? La nave anti-renziana ha issato le sue vele multicolori che fanno da coreografia sul palco dell'Atlantico Live, e solo un piccolo lembo è rossiccio tra tanto verde, giallo e blu, e tutto deve sembrare l'opposto di un'operazione nostalgia. Anche se ricompaiono volti da vecchio Pci, più Bobo Craxi tutto contento perché D'Alema dice che «Bettino era di sinistra, Renzi non lo è», e se l'ovazione che accoglie Susanna Camusso tradisce il tradizionalismo che batte sotto il nuovismo. Ovvero la speranza che sia la Cgil la vera macchina acchiappa-voti, per rottamare il rottamatore.
LA SFILATA No nostalgia, no ceto politico (che però è sovrabbondante, con D'Alema e moglie in seconda fila, Bersani in sesta e via via tutti gli altri), ed evviva la società civile, anche se ormai lo dice chiunque. Dunque, «care compagne e compagni», sfilano l'operaia della Melegatti; la ricercatrice precaria; la presidente di Legambiente la quale dice che Grasso si chiama «Pietro e Pietro è un nome importante per la sinistra italiana». Insomma, paragona l'ex pm a Ingrao, e tutti toccano ferro pensando a tutte le battaglie perse da quel grande personaggio applauditissimo come ora lo è il nuovo Pietro.
Di Renzi si parla sempre - ogni riferimento a furbizia, fake news, uomo solo al comando riguarda lui - ma non viene citato mai, se non in una risposta stizzita di D'Alema: «Non siamo qui per parlare del segretario Pd, bisogna essere maniaci per domandarci sempre di lui». Ma proprio un celebre motto del Comandante Max («Finché vivrò Renzi non potrà stare tranquillo») riassume il mood collettivo. Mentre il caro leader Grasso, così retoricamente perfetto nell'enfasi e poco originale nei contenuti (più diritti nel lavoro, basta diseguaglianze, una nuova moralità pubblica, antifascismo militante e la Costituzione non si tocca), sembra diventato un misto tra Berlinguer e Bergoglio (citatissimo quest'ultimo, anche se Pietro rispolvera pure l'«ottimismo della volontà di gramsciana memoria») e non è più quello che nel 2012, a quell'epoca più centrista che goscista, diceva: «Darei un premio speciale a Berlusconi per i suoi successi nella lotta alla mafia».
IL DILEMMA E comunque, tutta questa è una «sinistra plurale» - come credono i presenti - o l'ennesima riproposizione di un classico: il narcisismo delle minoranze? Dopo il discorso di Grasso, D'Alema - che col telefonino ha più volte fotografato il nuovo compagno di strada - assicura: «Con lui, raggiungiamo il 10 per cento». Ma gira un calcolo più prudente, e neanche troppo: il 6 per cento. Con questo bottino, che equivale più o meno a 20 deputati e tra 12 e 15 senatori, i Liberi e Uguali andranno alle trattative post-eletorali con Mattarella, per dire: può andare bene un governo di unità nazionale, magari guidato da Draghi, e possono andare bene anche altri ma Renzi giammai.
Intanto Bersani, che non ha perso la speranza di poter trattare con i grillini, è esultante mentre abbraccia e bacia Grasso ancora commosso (ha quasi pianto sul palco, così come sua moglie Maria Fedele in platea), poi si allontana e dice: «Oggi è stato grandissimo. E lo scelsi io come presidente del Senato. Avete visto che ogni tanto c'azzecco?». E' troppo presto per dirlo.