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Data: 20/12/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Scioglimento, l'ipotesi di anticipare i tempi

ROMA «Quando salirò al Quirinale? Mai...». Paolo Gentiloni, al centro del salone delle feste, scherza sull'ora X. Fa balenare la possibilità di tirare dritto, di rinviare la fine della legislatura prevista tra Natale e Capodanno. E, di conseguenza, le elezioni marzoline. Ma è un attimo: «Vuole sapere la verità?», aggiunge serio il premier, «non ne ho ancora parlato con il Presidente e perciò ancora non so quando andrò a fargli visita».
Il «non lo so» è il tema del brindisi. Dopo il discorso con cui Sergio Mattarella ha di fatto inaugurato la stagione elettorale parlando apertamente delle elezioni, anche nell'entourage del capo dello Stato non si azzardano previsioni: «Il giorno in cui Gentiloni annuncerà al Presidente che il suo lavoro è concluso potrebbe cadere prima della conferenza di fine anno del premier prevista per il 28 dicembre, oppure subito dopo».
Di certo, c'è che sul Colle si stanno preparando all'epilogo. Giovanni Grasso, il portavoce del capo dello Stato, è andato a vedere i precedenti. Di quando, in epoche passate, per ben nove volte il presidente del Consiglio di turno è salito al Quirinale per annunciare il termine dell'azione del governo. E, subito dopo, il capo dello Stato ha sciolto il Parlamento. Così avverrà anche questa volta: Mattarella non pronuncerà discorsi, non parlerà con la stampa. Per annunciare la fine anticipata della legislatura si affiderà a una nota e poi a un decreto. C'è chi dice il giorno prima della conferenza stampa conclusiva di Gentiloni, chi lo stesso giorno (il 28), chi quello successivo. Ma sono dettagli. Di sicuro si voterà a marzo, domenica 4 quasi certamente.
PROVE DI LARGHE INTESE
Ciò che balza agli occhi nel salone dei corazzieri e poi in quello delle feste dove giurano i governi, è che il Pd e Forza Italia già si annusano per il dopo-elezioni. Tra conciliaboli, come quello tra il renziano Luca Lotti e il braccio destro di Silvio Berlusconi, Gianni Letta, cui si unisce il capogruppo Forzista Paolo Romani, avvengono le prove di quelle larghe intese che potrebbero dare un governo al Paese in caso di impasse post-elettorale.
Non si tratta solo di sorrisi, battute e pacche sulle spalle. In quest'ultimo scorcio di legislatura, la collaborazione tra Pd e Forza Italia è costante. Il soccorso forzista diventa operativo perfino alla Camera, dove i dem hanno la maggioranza assoluta. La legge di bilancio arranca, soltanto questa sera transiterà dalla commissione Bilancio all'aula di Montecitorio. E solo domani mattina il governo potrà porre la fiducia che, da regolamento, andrà votata 24 ore dopo: venerdì mattina. Tardi, tardissimo, secondo il timing fissato a inizio mese. Tant'è, che il Senato potrebbe essere costretto a lavorare perfino la vigilia di Natale per dare il definitivo via libera alla manovra economica. Ebbene, per evitare ulteriori ritardi e dover mischiare conti pubblici e panettone, Forza Italia si è dichiarata disposta a concedere una deroga e votare la fiducia già domani. I Cinquestelle però al momento si oppongono.
LE SCELTE
Il flirt, una volta si sarebbe detto l'inciucio, tra Pd e forzisti vale anche per le nomine in Consob, Esercito a Carabinieri. Venerdì, o al massimo sabato, il governo deciderà i vertici. I nomi saranno concordati tra i due partiti. Per la Consob sono in corsa Mario Nava, Marco Buti, Lucrezia Reichlin. Per l'Arma la rosa è composta da Vincenzo Coppola, Ilio Ciceri, Riccardo Amato. Per il ruolo di capo di Stato maggiore dell'Esercito se la giocano Claudio Mora e Salvatore Farina.

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