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Data: 29/12/2017
Testata giornalistica: AbruzzoWeb
Pochi voti alti, nessuno altissimo e quante insufficienze anche gravi! Mattarella ha sciolto le camere, il pagellone dei parlamentari abruzzesi

L’AQUILA - È sceso oggi il sipario sulla XVII legislatura della Repubblica, con lo scioglimento delle Camere da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Un quinquennio contraddistinto da tre governi capeggiati da premier del Partito democratico, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, che hanno portato a casa numerosi provvedimenti apprezzati da molti e contestati da altrettanti, ma anche 5 anni nei quali il Parlamento, comunque, ha mancato la missione riformatrice che era stata indicata dal precedente capo dello Stato, Giorgio Napolitano, perfino nominando una commissione di saggi ad hoc.

Ultimi giorni di scuola, naturalmente, anche per i 21 parlamentari abruzzesi, 7 senatori e 14 deputati, che chiudono un mandato cominciato nel 2013 e che è stato molto difficile per tutti.

Questo soprattutto visto il quadro composito, caratterizzato da un’assenza di maggioranza stabile di un solo polo e il ritorno a governi “misti”, in cui esponenti del centrodestra e centrosinistra dell’era berlusconiana, che si guardavano in cagnesco fino a pochi mesi prima, per trovare una maggioranza sono dovuti scendere a patti come nella prima Repubblica, e peraltro ci sono riusciti benissimo.

Tutto questo mentre il resto del centrodestra, i Cinque stelle e la sinistra esterna al Pd conducevano la loro opposizione, impossibilitati per dna o momento politico a stringere alleanze, ma anche relegati a osservare, tutt'al più contestando, le azioni del mega-partitone di governo.

Tra statistiche di presenza e produttività, dati oggettivi e soggettivi di cronaca e “fumus” della loro azione politica, AbruzzoWeb ha passato in rassegna fatti e misfatti dei parlamentari abruzzesi uscenti, di quelli che sono rimasti 5 anni e di quelli che hanno occupato i banchi dell’aula solo per un periodo parziale.

Il bilancio non è lusinghiero: pochi voti alti, nessuno altissimo, tante sufficienze stiracchiate e molte insufficienze, anche gravi. Qualcuno tornerà in aula e potrà provare a fare di meglio, ma dovrà difendersi dalla carica dei nuovi arrivi. Gli altri si spera che se la caveranno.


SENATO

POPOLO DELLA LIBERTA’

Silvio Berlusconi n.g. Tra tutti i collegi di elezione, Abruzzo compreso, sceglie quello molisano e lascia il posto a Federica Chiavaroli, che poi transiterà al Nuovo centro destra. Il mandato a palazzo Madama del Cav peraltro dura pochi mesi: condannato in via definitiva per frode fiscale, decade da Senatore a novembre 2013 con un ruolo decisivo svolto dalla collega democratica Stefania Pezzopane.

Gaetano Quagliariello 6 Con un tasso di assenze superiore al 60%, è con ampio distacco il senatore eletto in Abruzzo che “marina” di più la Camera alta. Influisce senz’altro sulle statistiche la doppia esperienza da “saggio” nel comitato per le riforme istituzionali e poi la stessa delega nel governo Letta. Da “ministro abruzzese” non si segnala per provvedimenti sul territorio, si rivede nel 2017 all’Aquila per sostenere con il nuovo Movimento Idea la corsa infruttuosa a sindaco di Giancarlo Silveri con percentuali minime.

Paola Pelino 6 Vice capogruppo in Senato, onora il ruolo con una presenza in aula del 95%. Tra i provvedimenti da primo firmatario, l’istituzione dell’Anno Ovidiano nella sua Sulmona, e il riordino dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). Soffre la presenza della Pezzopane a intestarsi provvedimenti di realpolitik sul territorio, ma con i forzisti fuori dalle caselle di governo può fare poco.

Antonio Razzi 5,5 Ricordato più che altro per l’imitazione di Maurizio Crozza, il celebre motto “fatti i c. tuoi”, le promesse di fare da anello di congiunzione tra Stati Uniti e Nord Corea, e così via. Un’azione politica picaresca, a dispetto di un alto indice di produttività in relazione ai lavori in aula che gli affibbia Openpolis. Chiude, comunque, senza neanche una legge approvata da primo firmatario. Se non altro, l’87% di presenza ai voti in aula.

Federica Chiavaroli 6,5 Entra in Senato in "zona Cesarini", ma fa più carriera di tutti. Allo scioglimento del Pdl aderisce al Nuovo centro destra, di cui diventa vice capogruppo, e in quota alfaniana entra al governo con Renzi da sottosegretario alla Giustizia, venendo confermata anche da Gentiloni. Protagonista nella proroga della chiusura dei tribunali minori, si conquista un altissimo indice di produttività, a un certo punto numero 2 assoluta tra i senatori. Due stonature nello spartito, polemiche che la coinvolgono a livello nazionale: firma un emendamento che favorisce la diffusione delle slot machine e un ordine del giorno sull’estensione del vitalizio in caso di scioglimento anticipato delle Camere. Si spiega e ne esce, comunque, senza macchia.
MOVIMENTO 5 STELLE

Enza Blundo 5 Il boom grillino la proietta da esponente di uno dei tanti comitati post-sisma 2009 a senatrice della Repubblica, un salto mortale. Memorabili le sue difformità di vedute con la collega Pezzopane, con il sindaco aquilano Cialente e con altre istituzioni locali che hanno quasi sempre impedito di fare squadra. Qualche polemica fa discutere, quella contro il dem Zanda dandogli del corrotto gratis, e soprattutto insegue le voci della strada dichiarando che gli enti scientifici abbassano la magnitudo dei terremoti per chissà quale motivo. Salta un quarto delle votazioni, non il massimo per chi voleva operare una rivoluzione dall’interno delle istituzioni.

Gianluca Castaldi 6 Si batte per rimandare la chiusura dei tribunali presentando emendamenti e cercando di fare squadra perfino con l’Ncd del sottosegretario Chiavaroli, alla fine il risultato arriva. Diventa anche capogruppo nella consueta turnazione, ma non fa troppo parlare di sé in questa veste. Conduce in modo aggressivo, da grillino vero, la campagna elettorale per le amministrative nella sua Vasto, ma nonostante la presenza sua e di altri maggiorenti eletti in zona i pentastellati non bucano, mancando il ballottaggio, come pure a San Salvo.
PARTITO DEMOCRATICO

Stefania Pezzopane 7 Con l’ottimo bottino di voti alle primarie e grazie all’assenza di capricci di Franco Marini (ma lei nega) si conquista la pole in lista che le vale l’unica elezione per l’imprevisto al ribasso risultato abruzzese dei dem. Esordio boom: “caccia” il nemico pubblico numero 1 Berlusconi, si segnala come lavoratrice infaticabile, punta a un incarico di governo sulla scia del collega Legnini. Nell’estate 2014 diventa pubblica la sua relazione con il futuro fidanzato Simone Coccia Colaiuta e, nonostante gli sforzi per tenere la cronaca rosa separata da quella politica, negli ambienti romani lo scotto di uscite improvvide come l’intervista alle Iene finisce per pagarlo e così al governo non ci va. Si riprende nel solito modo, con il lavoro. Ha il 91% di presenze, quantità. Mette la faccia sui 6 miliardi del governo Renzi per la ricostruzione e la firma sull’Anno Ovidiano, qualità.


CAMERA

MOVIMENTO 5 STELLE

Gianluca Vacca 6 Opposizione senza compromessi, nello spirito grillino, con interrogazioni in aula alternate a feroci uscite mediatiche quasi sempre sul tema dell’ambiente e dello sviluppo. Di recente, cavalca la polemica sul cosiddetto “esperimento nucleare”, che però tale non è, sotto il Gran Sasso, come fatto in precedenza con la mega discarica dei veleni di Bussi. Finisce anche sotto processo, assieme ad altri, per essersi opposto all’esproprio del terreno per la realizzazione l’elettrodotto Villanova-Gissi, denunciato dalla società Terna Spa. Presente in aula al 75% dei voti e un buon tasso di produttività.

Andrea Colletti 6,5 Si occupa di temi che conosce, come la Giustizia, da avvocato e soprattutto componente di commissione, ma getta un occhio alle leggi della Regione Abruzzo dalfonsiana con un controllo feroce. Poi rassicura anche il sindaco di Roma, Virginia Raggi, sulle accuse che la portano sotto processo. Ha l’80% di presenze e un indice di produttività, secondo Openpolis, tra i top 15 d’Italia, primo tra gli abruzzesi, eppure la sensazione è che di concreto rimanga non troppo.

Daniele Del Grosso 6 Anche lui presente all’80% dei voti, ma si segnala comunque per esterofilia partecipando a numerose missioni: in particolare, in Kazakistan per incontrare la moglie di un dissidente protagonista di uno spinoso caso giudiziario, Alma Shalabayeva, e in India per incontrare e verificare l’ancor complicata situazione dei due Marò. Pure lui sotto processo per il caso-Snam.
PARTITO DEMOCRATICO

Giovanni Legnini 7,5 Nei primi due anni è per due volte sottosegretario, alla Presidenza del Consiglio con Letta, e deve gestire gli zero euro per L’Aquila e la conseguente guerra di Cialente a Napolitano con riconsegna della fascia; e all’Economia con Renzi, e qui gli va meglio mettendo la faccia sui 6 miliardi e sulle nuove regole per la ricostruzione in quella “bozza Legnini” che verrà portata a termine dal suo successore Paola De Micheli. Un ruolo di unico portabandiera abruzzese al governo che lascia solo per un incarico ancor più prestigioso, quello di vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, che lo terrà impegnato fino a settembre 2018 e che da solo vale mezzo voto in più.

Antonio Castricone 6,5 A 38 anni è il più giovane eletto nella tornata 2013. In mancanza di parlamentari aquilani, d’intesa con la senatrice Pezzopane, si presta volentieri a fare da spalla per quei provvedimenti per la ricostruzione 2009 e poi quella 2016 che necessitano di correttivi o inserimenti anche a Montecitorio. Un lavoro oscuro per questo come per altri temi, portato avanti con discreta presenza in aula, 85%, ma poco protagonismo, zero leggi a suo nome.

Tommaso Ginoble 5 Confermato dopo aver vinto le primarie per le candidature, al secondo mandato comincia ad accusare stanchezza: appena 7 atti da primo firmatario in 5 anni, dei quali 6 negli ultimi 12 mesi e uno nel 2013, nel mezzo un lungo silenzio e un po’ di oscuro lavoro parlamentare. Da segnalare il voto contrario rispetto agli orientamenti del partito nel 2014, dicendo no al via libera all’arresto del deputato prima dem poi forzista Francantonio Genovese. Scarsine le presenze, 72% ossia sotto la media nazionale.

Maria Amato 5,5 Il gioco delle liste bloccate la porta dal Consiglio comunale di Vasto alla Camera senza tappe intermedie. Si impegna, ma paga l’inesperienza. Porta a casa due leggi, sulla cannabis terapeutica e il registro dei tumori, ma dopo l’ok a Montecitorio si fermano a palazzo Madama. Tenta di giocarsi la carta dell’avventura politica anche in casa, correndo alle primarie a capo di un fronte “ribelle” dem, ma perde contro il giovane Francesco Menna, poi eletto sindaco. Continua a fare da opposizione interna lanciando, da medico, numerosi strali sulla sanità vastese. Molto, molto assidua in aula, supera il 95%.

Yoram Gutgeld 4 Un vero “paracadutato” del Porcellum, sebbene di provenienza vip: tra gli uomini più vicini a Renzi di cui è il “guru” economico fin dagli anni ruggenti della Leopolda. “Lavorerò per l’Abruzzo”, azzarda in campagna elettorale, ma tra i suoi già miseri 3 provvedimenti da primo firmatario non c’è la minima traccia. È, d’altronde, impegnato con i tentativi di riforma fiscale e nel ruolo più gravoso di commissario alla spending review: panni nei quali, comunque, viene bocciato fragorosamente dalla Corte dei conti.

Vittoria D’Incecco 5,5 Medico stimato, già assessore comunale e deputato per un mandato, fa i voti sul territorio e si riconquista il bis. Secondo quinquennio più da soldato semplice, senza momenti memorabili. Piazza, comunque, nell’ultimo decreto fiscale, un emendamento, in origine suo progetto di legge, sulla detraibilità fiscale degli alimenti a fini medici speciali. Nella torrida estate 2017 sposa la rivolta del Pd pescarese capeggiata dall’assessore regionale Donato Di Matteo contro le scelte e i rimpasti del sindaco Alessandrini.

Gianluca Fusilli 4 L’uscita dal Parlamento di Legnini e la "cementificazione" di Giovanni Lolli alla vice presidenza della Regione gli procurano l’occasionaccia della vita: da consigliere comunale di retroguardia a deputato. La sfrutta male: i primi mesi non combina nulla e il solito Openpolis lo confina tra i 15 peggiori parlamentari italiani. Si picca molto con questo giornale che sottolinea più volte la cosa, ma in seguito le statistiche migliorano poco, anzi, per niente. Chiude con soli 11 atti da primo firmatario, nessuno dei quali approdato a risultati effettivi, ma riesce perfino a trovare il tempo di rispondere, non si sa a che titolo, attraverso l’ufficio stampa del presidente della Regione e suo mentore D’Alfonso agli attacchi del centrodestra.
SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’

Gianni Melilla 7 Torna dopo vent’anni in Parlamento e la prende sul serio: per tutta la legislatura resta al vertice della classifica per presenze, addirittura 99,3%, sesto assoluto d’Italia, e spicca anche per indice di produttività. Meritata, dunque, l’elezione a segretario della Camera e componente dell’ufficio di presidenza, che comunque lascia a marzo quando aderisce ad Articolo 1 (e ora a Liberi e uguali) mollando la neonata Sinistra italiana. Affronta con emendamenti e interrogazioni i temi più disparati, dall’opposizione a sinistra del Pd in tutti i 5 anni tuttavia può fare ben poco a livello normativo.
POPOLO DELLA LIBERTA’

Filippo Piccone 4 Le etichette di campione di assenteismo e di scarsa produttività gli si appiccicano addosso fin dall’inizio della legislatura e non se le toglie più per tutto il quinquennio. Nel mezzo, il passaggio dal Pdl a Ncd che lo porta a ritrovarsi, oggi, senza una vera casa politica a dispetto di recenti flirt con i forzisti, con qualche improbabile velleità di ricandidatura. Le statistiche sono impietose, ma con il consueto aplomb se le fa scivolare addosso. Alla fine l’unico atto memorabile che resta è l’ultimo: le dimissioni a pochi giorni dallo scioglimento, che consentono all’amico e fedelissimo Massimo Verrecchia (per lui uno scontato n.g.) di sedersi, almeno idealmente, a Montecitorio incassando, comunque, un concretissimo stipendione.

Paolo Tancredi 6,5 Un altro che brilla per produttività, da top 20 in Italia, è ormai un veterano della Camera, relatore di leggi di peso e puntello importante nella commissione Bilancio dei vari provvedimenti pro-Abruzzo. Il pedigree gli frutta la candidatura a commissario Consob, posto di super lusso per ben 7 anni, un’eternità in politica, ma il veto del Quirinale a tutti i parlamentari uscenti, non solo a lui, lo brucia sul filo di lana e il sogno si infrange. I grillini lo accusano di aver ripristinato il doppio incarico consigliere-consulente in tutta Italia con una leggina. Poco presente in aula, 70% circa.

Fabrizio Di Stefano 5,5 Sufficienza non raggiunta sia per presenza in aula, un misero 60%, sia per produttività, che è di un decimo rispetto ai vari Colletti o Melilla. Passa un mandato intero in fondo a galleggiare tra il tentativo di diventare un big nazionale forzista, occupandosi di temi di respiro, giunto com’è al secondo mandato, e la tentazione di fare un passo indietro tornando al livello regionale ma per conquistarsi i galloni di governatore. Un dubbio che dovrà sciogliere entro una manciata di giorni.
SCELTA CIVICA

Giulio Sottanelli 5,5 Mai stato in politica, subito eletto e tra i sostenitori di Mario Monti e già questa sembra essere un’impresa, si conquista anche un buon indice di produttività, ma svicola spesso dall’aula (presenze al 66%, poche). Di concreto non resta granché, fa capolino alle primarie del centrosinistra aquilano per sostenere Americo Di Benedetto, poi sconfitto, e si garantisce il futuro mettendosi a capo della Banca del Gran Sasso teramano-aquilana, il che lascia intuire anche quale possa essere la prospettiva futura della carriera politica.

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