Che sia un momentaccio per il Pd l’hanno capito pure le pietre. Ma il disastroso crollo nei sondaggi ora in Abruzzo rischia di diventare un tracollo bello e buono. Tutto fermo, tutto apparentemente immobile: a distribuire le carte per il momento solo e soltanto il governatore Luciano D’Alfonso, mentre resta assente e silenzioso il partito: proposte, idee, assemblee, riunioni? Niente di niente, tanto comanda lui.
In fermento Liberi & uguali, le cui scelte elettorali si intrecciano con quelle del Pd, e non solo per il fatto che due esponenti della giunta dalfonsiana sono già passati armi e bagagli con Grasso. Ma anche perché qualcun altro è pronto al grande salto.
Il cerchio magico
Si scalda il cerchio magico di Dalfy: il film prevede che lui, il presidentissimo, si candidi capolista nel Proporzionale al Senato, che alla Camera nel proporzionale di Chieti-Pescara vada il fido Camillo D’Alessandro e che all’Aquila si ripresenti Stefania Pezzopane. Nel solco del cambiamento che non cambia nulla, e che premia chi di fatto ha perso le elezioni (Ortona il primo, L’Aquila la seconda). Una ipotesi che ha fatto saltare sulla sedia il parlamentare Toni Castricone:
“Se questa è la squadra, la campagna elettorale se la faranno loro”.
Tutti contro Dalfy
Ma cerchio magico a parte, Dalfy è davvero rimasto solo: la saldatura tra i teodoriani capitanati da Castricone e gli uomini di Di Matteo capitanati dallo stesso assessore regionale e dall’ex assessore comunale Giuliano Diodati (con la parlamentare Vittoria D’Incecco dietro le quinte), che è stata collaudata prima di Capodanno alla Provincia e poi al Comune di Pescara, adesso avrà effetti a strascico anche sulle prossime elezioni, e ha un unico comune denominatore: l’anti-dalfonsismo. Castricone ha già affondato il coltello in una riunione affollatissima che si è tenuta a Popoli lo scorso 29 dicembre, applaudito da Diodati in trasferta di cortesia:
“Io non prendo voti da nessuno – ha detto, rispondendo a un’allusione del governatore sui parlamentari Pd – I voti li ho presi solo all’università a Bologna, dove sono andato in treno o in bus e non certo con le auto blu” (sottinteso, come ha fatto D’Alfonso, per laurearsi prima a Chieti e poi a Teramo, e in Molise per il dottorato). E non prendo voti da chi si attribuisce meriti che non ha, come per i finanziamenti ministeriali”.
Chi rema contro
Critiche che non hanno risparmiato neppure il Pd, “questo grande assente”.
Insomma ce n’è abbastanza per suonare le campane a morto. Anche a Teramo c’è molta agitazione, e lo stesso parlamentare uscente Tommaso Ginoble non sembra restarsene con le braccia incrociate:
“Ognuno si muove con i canali che ha”
commenta lui. Insomma, non è che con Roma ci parli soltanto D’Alfonso. E l’ultima notizia che trapela dalla capitale è che Renzi non sarebbe per niente contento di una candidatura di D’Alfonso nel blindassimo proporzionale e sembra invece che gli abbia detto: “Se sei così bravo e hai così tanti voti, meglio che ti candidi nel collegio uninominale”, così vediamo cosa sai fare.
Il piede in due staffe
Lui, d’altronde, qualche giorno fa l’ha detto chiaro e tondo a Rete8: vuole andare a Roma e continuare a fare il governatore. Il classico “che pensi mi”: in pratica, tra la proclamazione degli eletti in Parlamento, i tempi per le dimissioni dall’incarico di presidente di Regione e quelli della deliberazione della commissione parlamentare competente potrebbero passare molti mesi, arrivando quasi a ridosso della scadenza naturale della legislatura regionale. Senza contare che per formare una maggioranza parlamentare con questa legge qualche difficoltà ulteriore ci sarà. Insomma, Dalfy ha pensato a tutto: senatore e governatore al tempo stesso, con la possibilità, ha detto, di “continuare a seguire i cantieri e le opere pubbliche abruzzesi”. E così rimarrebbe in sella come reggente Giovanni Lolli mentre lui, il governatore, continuerebbe a fare il bello e il cattivo tempo, circondato a Roma da amici fidati. Magari con due stipendi, che non è manco male. E nessuno, neppure le opposizioni, che abbia provato a obiettare nulla.
Il prezzo dei seggi
Di fatto, le candidature le decide Roma, e non è detto che corrispondano ai desideri del governatore. Che nel frattempo le va a offrire a tutti, soprattutto ai nemici, veri o presunti che siano: offre candidature al Senato (ma solo di testimonianza) a Donato Di Matteo (che però pensa anche a candidarsi con Liberi e Uguali) e ad Andrea Gerosolimo (che medita un ritorno nelle braccia di Silvio Berlusconi). Le offre allo stesso Castricone, ma in lista dopo di lui e via di questo passo. Le offre, nei collegi uninominali dove si perde sicuro, a un sacco di esponenti della società civile, lusingati e inconsapevoli della fregatura che viene loro prospettata.
Le offre, ma lei dice che il posto se l’è scelto, alla Chiavaroli, che si candida all’uninominale al Senato a Pescara con la lista Lorenzin, sperando di restare ancora in sella e chiedendo voti ora a destra ora a sinistra.
Liberi e Uguali, il nodo Melilla
Ieri sera Liberi e Uguali si è riunito per la prima volta per parlare di candidature: quella certa alla Camera è dell’assessore regionale Marinella Sclocco, mentre sul Senato è in corso un bel braccio di ferro. C’è Gianni Melilla, che dopo essere passato indenne attraverso tutte le declinazioni del Pc, e poi finito con Vendola e Sel, oggi rivendica la candidatura al Senato come capolista con Liberi e Uguali. Un bel problema per il partito di Grasso, che punterebbe a candidare invece nomi e facce nuove e comunque in opposizione al Pd, e qui in Abruzzo il terreno è molto scivoloso: non solo per la Sclocco, che continua a far parte della giunta D’Alfonso (ma a quanto pare solo per portare avanti le tematiche sociali), ma soprattutto per Melilla, che ha mantenuto un comportamento allineato e spesso di plauso rispetto a D’Alfonso e a D’Alessandro.
Il partito da Roma tra l’altro ha chiesto che i parlamentari in carica venissero ricandidati tutti, senza però specificare la posizione nelle liste. In Abruzzo si rendono conto che presentarsi a chiedere il voto con le solite facce sarebbe non solo perdente ma proprio disastroso.
Il tandem Gero-Di Matteo
In attesa che Grasso faccia le sue scelte, il tam tam della Regione racconta che Di Matteo e Gerosolimo, se accettassero una candidatura fuori dal Pd, già la prossima settimana potrebbero dimettersi lasciando la giunta in brache di tela.
E mentre presidente e consiglieri regionali tramano, fanno progetti, incantesimi e congetture, la morale della favola è che il Pd finisce questa legislatura con 7 parlamentari e ci tornerà forse con tre.
ps: Poi, del destino del centrosinistra e della Regione, a nessuno importa nulla: meglio mettersi al sicuro a Roma, non si sa mai.