PESCARA La spinta è arrivata proprio da Matteo Renzi: vai tu. E Luciano D'Alfonso non si è fatto pregare. Sarà lui il candidato del Pd nel collegio uninominale del Senato. Il governatore ha sciolto le riserve dopo essere stato tirato dalla giacca per settimane dai suoi: chi lo spingeva a restare alla guida della Regione, chi lo esortava a prendere la strada di Roma. Un conflitto di cui lo stesso D'Alfonso rischiava di restare prigioniero. Poi la spinta, arrivata proprio dai vertici del partito, ha indirizzato i pensieri notturni del governatore verso la candidatura alle politiche. E le ragioni da mettere in fila sono tante. A partire dalle difficoltà del Pd, certificate dai recenti sondaggi che anche in Abruzzo vedono in caduta libera il partito di Matteo Renzi. «D'Alfonso si sa - dicono gli amici - è uno che in campagna elettorale vede rosso e parte a testa bassa come un toro». Serve uno choc, insomma, per cercare di far risalire la china al Pd abruzzese gravato dalla scissione che ha portato alla nascita del nuovo movimento di Pietro Grasso, ma anche dai personalismi locali che rischiavano di acuirsi in campagna elettorale. Resta da capire se la candidatura di D'Alfonso metterà tutti d'accordo. Ma per un partito che alle politiche del 2013 era riuscito ad eleggere 7 parlamentari (6 alla Camera e 1 al Senato), mentre oggi è accreditato a un massimo di 3, muovere l'artiglieria pesante è una necessità.
Le altre ragioni sono tattiche: i voti di D'Alfonso trascinano la coalizione e possono fare scattare anche gli altri seggi in posizione scomoda nei collegi uninominali considerati in bilico. Anche questo è un vantaggio per tutti. Poi i tempi: per candidarsi alle politiche del 4 marzo, D'Alfonso non dovrà dimettersi subito da governatore ma dovrà farlo solo al momento della composizione delle due Camere, optando a quel punto tra la Regione e Palazzo Madama. Secondo alcuni osservatori, questo appuntamento potrebbe slittare addirittura al prossimo mese di giugno, se non oltre. L'altra considerazione è che di andare a scaldare uno scranno in Parlamento a D'Alfonso interessa poco.
In un eventuale, quanto sempre più probabile governo istituzionale, potrebbe rivendicare un ruolo operativo (di governo o sottogoverno) e solo a quel punto decidere se puntare alla ricandidatura in Regione o piazzare le basi nei palazzi romani. E ci sono anche le ragioni politiche: D'Alfonso è convinto di poter capitalizzare in campagna elettorale il lavoro dei tre anni e mezzo di legislatura regionale e la tela di relazioni messa in piedi nelle quattro province, a partire dai sindaci e dagli apparati produttivi-imprenditoriali.
I CONTRACCOLPI
Certo, adesso ci sarà da tenere a freno le ambizioni degli altri big. Come l'assessore regionale Donato Di Matteo, che si vede sbarrare il passo della candidatura alle politiche non solo da D'Alfonso ma anche dal sottosegretario uscente Federica Chiavaroli, che con la lista del ministro Lorenzin rappresenta un alleato strategico. Così, tra collegi uninominali di Camera e Senato e listini bloccati, i posti che contano si riducono sempre di più: D'Alfonso a Pescara, Camillo D'Alessandro a Chieti, Stefania Pezzopane all'Aquila, Sandro Mariani o Tommaso Ginoble a Teramo, Andrea Gerosolimo nella Marsica. I giochi sembrano fatti, con gli uscenti (Antonio Castricone, Gianluca Fusilli, Vittoria D'Incecco) che non hanno nessuna intenzione di recitare il ruolo di comparse. Nella serata di ieri il segretario regionale Marco Rapino ha convocato una riunione di partito per fare il punto. Del resto, i giochi sono ancora aperti un po' ovunque: da Forza Italia alla Lega, a Fratelli d'Italia (per restare nel centrodestra) le liste sono tutte in alto mare, mentre nel M5S quasi tutti i deputati uscenti hanno riproposto la propria candidatura sulla piattaforma web: Gianluca Vacca, Andrea Colletti, Gianluca Castaldi, vogliono riprovarci. Del resto, il vincolo dei due mandati è ancora lontano. Il bis a portata di mano.