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Data: 11/01/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Atac, servizio a rischio» Allarme del Campidoglio che poi fa retromarcia «A Virginia ho detto: serve un socio privato una direttiva del Movimento l'ha impedito»

ROMA «Se il concordato di Atac non dovesse andare a buon fine, già dal 27 gennaio ci sarebbe il rischio di blocco del servizio», dice in mattinata l'assessore ai Trasporti del Campidoglio, Linda Meleo. Anzi, no: «A Roma nessun rischio paralisi dei trasporti, le mie dichiarazioni sono state mal interpretate», è la retromarcia che appare su Facebook in serata, quando la bolla mediatica dell'allarme si è già gonfiata e le opposizioni hanno preso a cannoneggiare contro la maggioranza di Virginia Raggi. Per il Pd, le parole dell'assessore grillino sarebbero addirittura un tentativo di «condizionare i giudici fallimentari», quelli a cui entro il 26 gennaio la municipalizzata dei trasporti dovrà presentare il piano di rientro e la strategia per ripagare quasi 1.200 creditori.
Scadenza ravvicinata, che mette fretta ai pentastellati del Campidoglio. Perché ci sono alcuni passaggi intermedi che vanno completati prima che il dossier arrivi in Tribunale. Uno dei pilastri del nuovo piano industriale - finora solo abbozzato nel quartier generale di via Prenestina, con l'aiuto dei consulenti esterni di Ernst & Young - è la proroga del contratto di servizio tra Atac e Roma Capitale fino al 2021. Il vecchio accordo scade nel dicembre 2019, quando i trasporti romani avrebbero dovuto essere messi a gara, come prevedono sia la legge nazionale che le normative europee.
LO SLITTAMENTO La giunta grillina invece, pochi giorni fa, ha prolungato di altri due anni il contratto alla sua malconcia partecipata e ieri ha provato a far votare subito la delibera dalle Commissioni Bilancio e Mobilità, convocate addirittura in seduta congiunta, per risparmiare tempo. Dopo le proteste dell'opposizione, la seduta è stata aggiornata: se ne riparlerà probabilmente domani, mentre il voto in Assemblea capitolina non avverrà prima della prossima settimana. Sul filo per la scadenza fissata dal Tribunale.
La verità è che anche tra i consiglieri grillini qualche dubbio si è insinuato. Perché la decisione di rinunciare alla gara, così dice la legge, dovrebbe essere adeguatamente argomentata, sostenendo per esempio - e nel caso di Atac non sembra facile - che la decisione sia la più conveniente sia a livello economico che di qualità dei servizi. Invece la Ragioneria generale del Campidoglio, in un parere condiviso con l'Avvocatura, ha messo nero su bianco tanti dubbi. Sottolineando che la mossa è stata già dichiarata illegittima dall'Antitrust, che non può essere giustificata solo dall'esistenza del concordato, e che soprattutto non deve comportare aggravi economici per il Comune.
Un parere pesante, che ha spiazzato anche i pentastellati. Forse per questo, allora, l'assessore Meleo ieri ha dichiarato in commissione che «se non ci fosse la proroga che supporta il piano industriale, il pericolo di blocco del servizio sarebbe molto concreto». Da quando? «Dal 27 gennaio», ha detto l'assessore, cioè dal giorno successivo alla presentazione della strategia industriale ai giudici. La proroga, secondo Meleo, «è un provvedimento necessario per il rilancio aziendale ed è funzionale al concordato. Due anni non sono un orizzonte temporale sufficiente per il risanamento aziendale».
Parole che l'opposizione capitolina ha inquadrato come una pressione ai consiglieri per approvare la delibera in tutta fretta, prima in Commissione e poi in Consiglio. «Abbiamo chiesto di avere il tempo di visionare la proposta in maniera approfondita», ha spiegato la capogruppo del Pd in Campidoglio Michela Di Biase, mentre Forza Italia, con Davide Bordoni, attaccava: «Con il M5S l'azienda rischia il fallimento». Preoccupato anche il capogruppo di Fdi, Fabrizio Ghera.
La polemica monta a tal punto che in serata la stessa Meleo è costretta al dietrofront e a fornire, via social, la giusta «interpretazione» delle parole pronunciate in mattinata: « Il servizio sarà assolutamente garantito - scrive - La proroga è una condizione imprescindibile al piano di concordato. Senza questo orizzonte temporale sarebbe venuta meno l'ipotesi di ripristino degli equilibri finanziari».


«A Virginia ho detto: serve un socio privato una direttiva del Movimento l'ha impedito»

ROMA «Io alla Raggi lo avevo detto subito, due mesi dopo la nomina in giunta: per salvarsi Atac non può restare al 100% in mano al Campidoglio, è una società con troppi problemi. E lo stesso vale per l'Ama, l'azienda dei rifiuti. Ma hanno prevalso le direttive del Movimento, diciamo. Se il concordato fallisce, ci sarà l'amministrazione straordinaria, con l'intervento del governo». A parlare è Massimo Colomban, il manager vicinissimo a Casaleggio che fino al settembre scorso è stato uno dei più potenti assessori del Campidoglio pentastellato, con la pesante delega delle partecipate, anello di congiunzione tra la sindaca e i vertici nazionali del Movimento. Ora che ha lasciato l'ufficio a Palazzo Senatorio, dice la sua liberamente sulla gestione delle municipalizzate da parte della giunta grillina, a cominciare dal grande malato, Atac.
Ieri l'assessore ai Trasporti di Roma, Linda Meleo, ha detto che se il concordato fallisse, dal giorno dopo bus e metro sarebbero a rischio. Poi ha fatto retromarcia. Era un rischio calcolato, quando si è deciso di rivolgersi al Tribunale fallimentare?
«Mi conceda una premessa: io ho piena stima di Paolo Simioni, che ha collaborato con me prima di essere nominato presidente e ad di Atac, e lo stesso dico di Cristiano Ceresatto, altro bravissimo manager che fa parte del cda. Sono persone di cui conosco il grande valore e so che stanno facendo il massimo per salvare l'azienda, con tutte le difficoltà che ci sono».
Ecco appunto, le difficoltà sono tante. La scelta del concordato era la via migliore per salvare la società dalla bancarotta?
«Guardi, secondo me per salvare Atac serve un partner industriale, non può restare in mano al Comune al 100%. E lo stesso vale per Ama. È inutile mantenere tutto pubblico, se poi non si può offrire la qualità dei servizi. Questo è un giudizio che ho espresso dopo due mesi che ero nella giunta di Roma, l'ho detto anche alla sindaca. All'epoca Simioni era d'accordo, poi...».
Poi?
«Poi sono prevalse le logiche del Movimento, c'è stata una direttiva superiore, che diceva: no, dobbiamo ristrutturare con le nostre forze, la società deve rimanere al 100% del Comune. Il problema è stato questo».
Di che tipo di socio avrebbe bisogno Atac? Un socio privato?
«Privato, anche, ma io in realtà pensavo a un matrimonio con le Ferrovie. Deve essere un partner efficiente, che abbia risorse, management e capacità organizzative. È difficile altrimenti intervenire, considerato lo stato in cui sono state portate le società. Atac per anni è stata gestita male ed è stata ereditata in un momento difficile, con metà degli autobus da rottamare. È come avere una fabbrica con metà delle macchine operative».
Il piano industriale di Atac prevede l'aumento dell'orario di lavoro da 37 a 39 ore settimanali. Basterà per rendere produttiva un'azienda invischiata in una crisi così profonda?
«Due ore in più non sono determinanti, serve un mix di azioni positive che devono essere attuate in contemporanea. Il lavoro che ha Simioni davanti è gigantesco, lui è un manager estremamente capace, ha ristrutturato brillantemente altre aziende, ma nessuno fa miracoli, non è che resuscitano una società che non ha le risorse sufficienti, che non ha i mezzi produttivi adeguati, che forse non ha, mi permetta, manager all'altezza».
Atac può fallire, come ieri ha paventato l'assessore ai Trasporti?
«Atac non può fallire, un servizio indispensabile come i trasporti non può essere interrotto».
Che succede allora, se il concordato fallisce?
«C'è l'amministrazione straordinaria, con il governo».
A questo punto, per M5S non sarebbe un fallimento?
«Io credo che il problema di Roma non stia nei miracoli che la sindaca può fare oggi. Serve un intervento complessivo che coinvolge l'intero Movimento, che non può proteggere i sindacati. Certe sigle, in Atac, per anni l'hanno fatta da padroni. L'inefficienza delle partecipate poi la pagano i cittadini, perché i servizi non girano. Le faccio un esempio: in Ama il 23% dei dipendenti sostiene di avere disabilità fisse o temporanee, contro il 2-3% che avviene nelle aziende private. Non servono commenti, credo».

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