ROMA La bancarotta dell'Atac come l'«armageddon» grillino: migliaia di dipendenti da licenziare, i malconci bus arenati nelle rimesse, i treni della metro fermi sui binari dei depositi. Lo spettro del fallimento della più grande partecipata dei trasporti del Paese, un gigante malato da 12mila dipendenti e debiti da 1,3 miliardi, agita davvero i sonni della giunta pentastellata. Ma le carte, in questa fase, continua a darle il Campidoglio. Almeno fino al 26 gennaio, la data cerchiata di rosso sul calendario di Palazzo Senatorio, perché entro quel giorno la società comunale dovrà presentare ai giudici il piano industriale. Un piano fantasma, perché a due settimane dalla deadline ancora non c'è. Ci stanno lavorando, da mesi, i manager nominati dai Cinquestelle e un pool di consulenti privati. A fine novembre ai magistrati è stata chiesta una proroga di 60 giorni, l'ultima fiche per prendere tempo. Ma la proroga ora sta per scadere.
Va messa nero su bianco la strategia per ripagare quasi 1.200 creditori. Piccole e grandi imprese, fornitori, enti pubblici, che poi dovranno votare a approvare a maggioranza l'offerta dell'azienda di via Prenestina. Ammesso che i giudici la considerino appropriata.
C'è il fardello del debito, ma anche la sfida del rilancio industriale. La giunta grillina ha gli strumenti per superare la prova, ma per il malato Atac serve una cura pesante, «l'azienda va rifondata», ha detto più volte l'ex assessore alle Partecipate, Massimo Colomban, vicino a Casaleggio. Nel M5S, ora che la scadenza si avvicina, qualche dubbio comincia a trapelare. Allo scenario catastrofico evocato ieri dall'assessore ai Trasporti, Linda Meleo, poi ritrattato via Facebook, non credono in molti. Il timore, semmai, è che la strategia possa essere considerata dal Tribunale inadeguata. Troppo «soft», per esempio sul versante della produttività: con l'ultimo accordo sindacale, ai dipendenti è stato chiesto di passare da 37 a 39 ore di lavoro settimanale, come peraltro già prevede da anni il contratto nazionale della categoria. I commissari (e i giudici), prima di un'eventuale bocciatura, potrebbero chiedere di più, anche su altri fronti, per risollevare un'azienda che chiude bilanci in rosso da anni e perde oltre un milione di corse l'anno, tra bus e metro.
I TAGLI C'è il rischio di scontentare qualcuno. Certi sindacati, per esempio. Gli esuberi - di cui pure si è discusso nell'estate 2016 in alcune riunioni riservate - al momento vengono esclusi dal M5S per ragioni politiche. Ma se il concordato fallisse e dovesse intervenire il governo con un'amministrazione straordinaria - perché solo così si eviterebbe il blocco di bus e metro - i tagli al personale sarebbero molto più pesanti di quelli di un piano concorsuale spalmato su più anni. E lo stesso discorso vale per le ore di guida da prolungare, il tasso di assenteismo da abbattere in tutta fretta (perché gli autisti romani si assentano il doppio rispetto ai colleghi milanesi?) e per le officine della manutenzione da rendere pienamente efficienti, in attesa che il parco mezzi più vecchio d'Europa possa beneficiare dei necessari rimpiazzi. Le carte le dà il Campidoglio, almeno fino al 26.