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Pescara, 24/07/2024
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Data: 12/01/2018
Testata giornalistica: AbruzzoWeb
Verso il voto del 4 marzo - Elezioni: se D'Alfonso va a Roma, 5 mesi per votare in regione salvo norme ad hoc. Show di Di Matteo: cacciato e D'Ignazio Assessore?

L’AQUILA - Cinque mesi di interregno, leggi e statuti alla mano, se il presidente della Regione, Luciano D’Alfonso, si candidasse al Parlamento, se fosse eletto e se accettasse di rimanere a Roma: elemento, quest’ultimo, da non sottovalutare, come si vedrà in seguito.

Cinque mesi in cui la Regione potrà occuparsi solo di ordinaria amministrazione e sarà retta, con estrema probabilità, dal vice presidente, Giovanni Lolli, a meno che non si concretizzi una particolare coincidenza di risultati di cui pure si dirà.

E spunta la necessità di una norma straordinaria, un provvedimento del ministero dell’Interno oppure una modifica dello Statuto regionale e della legge elettorale, peraltro di difficile concretizzazione, per riallineare la data del voto alla primavera 2019, che poi sarebbe stata la scadenza naturale, ed evitare salassi.

IL CALENDARIO

Il calendario è presto fatto. Si voterà il 4 marzo, con la prima riunione delle nuove Camere già fissata al 24 marzo, nella quale l’elezione diverrà ufficiale.

A quel punto il potenziale onorevole D’Alfonso per la Regione Abruzzo sarà diventato ufficialmente incompatibile con la carica di governatore ed entro 30 giorni (24 aprile) si riunirà la Giunta per il regolamento, presieduta dal consigliere del Partito democratico Alberto Balducci, che formalizzerà la cosa all’interessato.

Come recita una norma regionale ad hoc risalente al 2004, dalla riunione partirà, poi, un conto alla rovescia di 30 giorni.

In particolare, 10 giorni di tempo per rispondere; nei 10 successivi il Consiglio regionale delibererà definitivamente e, dove ritenga sussistente la causa di incompatibilità, chiederà al consigliere di optare, entro altri 5 giorni, tra il mandato consiliare (in questo caso da presidente) e la carica ricoperta (in questo caso parlamentare). Qualora il consigliere non provveda, il Consiglio lo dichiarerà decaduto con deliberazione notificata all’interessato entro ulteriori 5 giorni.

Opzione tra presidente e parlamentare, insomma, al più al 24 maggio. E poi le norme parlano chiaro: entro 3 mesi vanno indette le nuove elezioni, arrivando, quindi, la massimo a settembre. Ovviamente le date scaleranno, con il rispetto non cronometrato al secondo di tutte queste deadline, ma non più di tanto.

LE NUOVE ELEZIONI

Votare in ottobre sarebbe un disastro economico e logistico, tanto che lo Stato potrebbe decidere di far ricadere sulla Regione stessa, leggi i cittadini, le spese ingenti per organizzare elezioni fuori orario senz’altra motivazione valida che non le ambizioni personali di un singolo, il presidente.

Per evitare il tracollo, perciò, scatterebbe la richiesta di una norma speciale da parte del ministero dell’Interno per pareggiare il calendario, con conseguenze tutte da valutare.

In alternativa, o magari in aggiunta, il Consiglio zoppo del presidente dovrebbe trovare una maggioranza per modificare le sue norme fondamentali di elezione fissando criteri più morbidi per casi eccezionali come questo. Non facile.

In caso di successo, il 2019 tornerebbe a essere una scadenza cardine, visto che si voterà anche per le Europee e perfino le Amministrative in importanti Comuni, da Pescara (Nuova o vecchia?) in giù.

SE D’ALFONSO RIFIUTA

D’Alfonso, pur eletto, in fin dei conti potrebbe perfino decidere di tornare indietro.

Questo succederebbe qualora intuisse di non poter avere, a Roma, il ruolo decisivo per l’Abruzzo e (soprattutto) per sé che sogna fin da quando in una location insolita, fuori dalla stazione ferroviaria dell’Aquila, ha detto: sto lavorando perché questa regione abbia di nuovo un ministro.

E l’accidente può concretizzarsi in molti modi diversi, visti i complicati scenari elettorali che vedono sfidarsi tre poli, centrosinistra, centrodestra e Cinque stelle, nessuno dei quali apparentemente (e si vedrà il 25) in grado di governare da solo, a meno di alleanze tra avversari che potrebbero far fuori questa o quella componente di questo o quel partito, con ovvia e drastica riduzione delle poltrone di ministro appannaggio del Pd rispetto a quelle disponibili in un improbabile monocolore dem.

Il colpo di scena di un rientro in Regione, comunque, non si può escludere, ma sempre nelle scansioni temporali citate in precedenza.

IL CASO LOLLI

Altro caso che si profila è quello di Lolli, che potrebbe perfino essere costretto alle dimissioni da vice presidente e all’uscita dalla Regione: in un caso solo, quello che vedrebbe la candidatura e la contestuale elezione di Marinella Sclocco, attuale assessore.

In tal caso, anche lei dovrà optare dimettendosi da assessore e da consigliere regionale; la Giunta resterà, così, senza la rappresentanza di almeno una donna imposta per legge, e non ci sono altre donne elette in Consiglio da nominare, se non la grillina Sara Marcozzi che è evidentemente non interessata alla cosa.

Perciò bisognerà ricorrere al posto di assessore esterno per scegliere una donna, e in quel caso il sacrificato sarebbe proprio Lolli, che occupa l’unico posto da esterno che sempre la legge mette a disposizione.

Anche in questo caso, scenario più che altro di fantapolitica: con l’uscita dal Consiglio di D’Alfonso, magari altri consiglieri di maggioranza come Camillo D’Alessandro o Giuseppe Di Pangrazio o altri ancora, i posti vuoti verranno surrogati da nuovi ingressi tra i quali, nel caso peggiore possibile anche con rinunce di qualcuno in favore di qualcuna, una donna in qualche modo si troverà, salvando Lolli.
''NOI CON L'ITALIA'', ZELLI, DI PANGRAZIO E PICCONE NELLA 'QUARTA GAMBA'

Post-democristiani, ex forzisti, ex democratici, ex montiani, fittiani, quagliarelliani e chi più ne ha più ne metta: tutti assieme appassionatamente, sotto le storiche insegne dello scudo crociato.

Anche in Abruzzo, raccoglierà una quantità di estrazioni politiche estremamente varia, la nuova formazione “Noi con l’Italia”, presentata oggi come “quarta gamba” del centrodestra alle elezioni politiche del prossimo 4 marzo, in aggiunta al trittico Forza Italia, Noi con Salvini e Fratelli d’Italia

Una lista di moderati, a partire dai reduci dell’Unione di centro di Lorenzo Cesa, segretario nazionale che ha messo a disposizione il simbolo, di eredità democristiana, che si è preso ben la metà del nuovo logo, disvelato oggi a Roma, quasi a far capire quanto ingente sarà il suo peso specifico.

Cesa che, peraltro, potrebbe ancora egli stesso essere candidato in Abruzzo, come già raccontato da AbruzzoWeb.

Ma il fronte è estremamente più vario. Raffaele Fitto, che della nuova formazione è stato scelto come presidente, ha invece indicato in regione l’ex assessore comunale teramano Rudy Di Stefano, oggi esponente di Direzione Italia, il partito di Fitto entrato nella nuova esperienza comune Nci.

Di Stefano che è un amico di Gianluca Zelli, imprenditore nella somministrazione del lavoro e fondatore di Azione politica, movimento definito “liberale e popolare” che guarda con ovvio interessa a questa ‘cosa bianca’.

Zelli puntava e tuttora è fortemente interessato alla candidatura ma, è trapelato, scenderà in campo mettendoci la faccia solo se avrà la sensazione di poter strappare un posto utile a giocarsi l’elezione; altrimenti, spazio a D’Amico.

Avanti un altro: per il movimento Idea dell’ex ministro Gaetano Quagliariello, 5 anni fa eletto proprio in Abruzzo, è tornato in auge il nome di Giancarlo Silveri, ex manager della Asl provinciale aquilana e che ha tentato, senza successo, di candidarsi a sindaco del capoluogo; molto difficile, comunque, che possa trovarsi ai vertici dei listini bloccati e concorrere, quindi, all’elezione.

Punta a piazzare una pedina in Abruzzo anche un altro ex ministro, Maurizio Lupi, reduce del Nuovo centro destra e di Alternativa popolare, oggi dissolti, che di Noi con l’Italia è stato indicato come coordinatore nazionale, tra l’altro con l’ex presidente del Consiglio comunale di Avezzano (L’Aquila), Luigi Sigismondi, come suo strettissimo collaboratore.

Il nome di Lupi sarebbe quello del deputato uscente Filippo Piccone, ai vertici delle classifiche di assenteismo e improduttività dei parlamentari dell’ultimo mandato, con cui è rimasto legato.

Ma il piano del tuttora vice sindaco di Celano (L’Aquila) sarebbe un altro, pure già raccontato da AbruzzoWeb, e qui si torna a Cesa: su di lui Piccone dirotterebbe i suoi consensi, in modo che il leader della Vela possa essere eletto, lasciare l’attuale seggio da europarlamentare e lui subentrargli, essendo primo dei non eletti, giocandosi poi la ricandidatura alle elezioni europee 2019.

Piccone, comunque, ha anche invitato a non dimenticare Massimo Verrecchia, suo fedelissimo, che gli è subentrato per qualche mese dopo le strategiche dimissioni da parlamentare all’ultima seduta.

Un altro fondatore di Nci, l’ex ministro Enrico Costa, su suggerimento dell’ex sottosegretario Gianni Letta, ha scelto l’ex sindaco di Avezzano (L’Aquila), Giovanni Di Pangrazio.

Se scendesse in campo, quest’ultimo confermerebbe il passaggio al centrodestra pure anticipato da questo giornale, dopo 5 anni di governo della città marsicana con una larghissima coalizione ammantata di civismo, ma in sostanza a prevalenza centrosinistra, conclusa con la fragorosa sconfitta dello scorso giugno.

Piccone e Di Pangrazio hanno pessimi rapporti e non da oggi: se tutto andrà a dama, tuttavia, si ritroveranno curiosamente a giocare nella stessa squadra.

Detto di Cesa, le alternative dell’Udc in Abruzzo sono note da dicembre e tuttora valide: il sindaco di Fossacesia e segretario regionale del partito della Vela, Enrico Di Giuseppantonio, oppure Anna Paola Sabatini, vastese classe 1979 direttore dell'Ufficio scolastico regionale del Molise. Alberto Orsini e Berardino Santilli
NASCE CIVICA POPOLARE, D'IGNAZIO ASSESSORE E PAOLINI CANDIDATO

La nascita della lista "Civica Popolare" del ministro della Salute uscente Beatrice Lorenzin scuote gli scenari anche della politica abruzzese in vista delle elezioni politiche del prossimo 4 marzo ma non solo.

Domani, venerdì 12, alle 18.30 a Pescara in piazza della Rinascita 41 la Lorenzin incontrerà la stampa per presentare il suo nuovo soggetto politico, che correrà assieme al Partito democratico nella coalizione di centrosinistra.

Con lei ci sarà la principale esponente abruzzese del nuovo movimento, il sottosegretario alla Giustizia e senatrice uscente Federica Chiavaroli.

E spuntano anche i papabili per il voto nazionale. Secondo quanto appreso, in quota Italia dei valori, dentro Cp sarà per esempio candidato l’attuale vice presidente vicario del Consiglio regionale, Lucrezio Paolini.

L’aver rotto gli indugi, passando con il centrosinistra, avrà ripercussioni visibili in aula "Spagnoli": si preannuncia, infatti, un possibile rimpasto di Giunta con l’ingresso del consigliere teramano Giorgio D’Ignazio, eletto con il Nuovo centro destra e ormai da anni tirato per la giacchetta dalla maggioranza.

Questo complice la politica fin qui dei “due forni” di Ncd e della sua filiazione, Alternativa popolare, con il centrosinistra in campo nazionale, con il centrodestra all’Emiciclo e in importanti Consigli comunali, dall’Aquila a Pescara.

D’Ignazio aveva sempre detto di non voler fare da stampella al peraltro traballante schieramento di consiglieri di maggioranza, ma la posizione personale poteva valere finché c’era questa ambiguità di comportamenti.

Ora la Lorenzin è senza più equivoci con il centrosinistra, e così la Chiavaroli, e così, avendo aderito a Civica popolare, dovrà fare anche D’Ignazio.

Il quale, tra l’altro, è anche consigliere segretario e siede nell’ufficio di presidenza in quota all’opposizione, ruolo che gli è già stato richiesto di mollare dai più inferociti del centrodestra perfino nella situazione attuale e dovrà quindi rassegnarsi a perdere, guadagnando comunque, nel cambio, una bella poltrona da assessore. Alberto Orsini
DI MATTEO SHOW CONTRO D'ALFONSO, RIMPASTO E FUGA DAL PD?

Una sfida senza paura ai “pezzi da 90” della Regione Abruzzo, invitandoli a misurarsi alle elezioni politiche nell’uninominale, pesando quindi i singoli consensi, e non nei listini bloccati del proporzionale; accuse di arroganza e prepotenza; e un vaticinio cassandresco di un Partito democratico che “va incontro alla catastrofe” alle urne il prossimo 4 marzo.

Questi i temi salienti nello “show” di ieri dell’assessore regionale, chissà fino a quando, Donato Di Matteo, che ha tenuto banco nel corso di un’infuocata riunione dei maggiorenti del Partito democratico a Pescara convocata proprio per tentare di trovare la difficile quadra sulle candidature, mediando ambizioni personali e diktat romani.

Uno sfogo contro lo scenario più probabile a oggi che vede il presidente della Regione, Luciano D’Alfonso, ormai nemico giurato di Di Matteo, pronto a candidarsi appunto nel proporzionale, con la dichiarata ambizione di divenire ministro in un nuovo governo in quota al centrosinistra, con prospettiva di una retromarcia e ricandidatura da presidente in caso di insuccesso.

E tra gli aspiranti annunciati al Parlamento dovrebbe esserci anche il consigliere regionale ed ex collega di Giunta Camillo D’Alessandro, mentre dentro la sua invettiva Di Matteo ci ha fatto finire anche l’altro assessore dem Silvio Paolucci, per la verità almeno per ora più defilato dal “toto”.

Uno sfogo fragoroso, riportato dal blog Maperò, che ora può scatenare una reazione a catena in due tappe.

Primo, un rimpasto di Giunta regionale, facendo fuori Di Matteo, dal 2014 voce critica del governatore e della maggioranza e quindi in bilico da tempo; magari per far entrare la “stampella” di Giorgio D’Ignazio, appena transitato armi e bagagli nel centrosinistra, aderendo alla Civica popolare di Beatrice Lorenzin e Federica Chiavaroli.

Secondo, l’uscita di Di Matteo dalla maggioranza, con "mani libere" e conseguenze di chissà che genere: una fuga anche dal Pd, aderendo ad Articolo 1 e, quindi Liberi e uguali? Il sostegno a Marinella Sclocco in un’ipotetica corsa da parlamentare? Una discesa in campo in prima persona alle Politiche, di cui pure si è ventilato?

Ormai la guerra più volte trattenuta da Di Matteo, che si è reso irreperibile al tefono, è aperta e gli effetti saranno imprevedibili.

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