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Data: 12/01/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Leu si spacca: sì a Zingaretti, no a Gori E Renzi blinda i big della sinistra

ROMA Sì a Nicola Zingaretti, no a Giorgio Gori. E' quanto hanno deciso i vertici di LeU, riuniti con Pietro Grasso per tutto il giorno. La decisione ufficiale e definitiva è rimandata a oggi «quando si riuniranno le assemblee locali», ma l'orientamento prevalente è già trapelato e non pare destinato a cambiare. Sì al governatore del Lazio uscente, dunque, «perchè è un uomo di sinistra» (così Enrico Rossi, presidente della Toscana e uscito dal Pd assieme a Bersani), no invece a Gori «perché non è di sinistra, non viene dalla sinistra e ha programmi non di sinistra» (Fratoianni, capo di Sel alleata con Grasso).
LE POSIZIONI
E' stato accolto soltanto a metà, dunque, l'accorato appello di Prodi e Veltroni perché la sinistra trovi un sussulto unitario e riesca a metteresi assieme «per impedire che vinca la destra». L'appello non è certo passato inosservato, qualche ripensamento lo ha pure indotto, ma a Milano ha prevalso la linea più intransigente che prescrive «mai alleati con questo Pd», che tradotto significa mai alleati finché c'è Renzi. Ma tant'è. La linea adottata in Lombardia sconta ulteriori divisioni, e di peso, anche nel campo della sinistra a sinistra del Pd. Per la successione a Roberto Maroni si è detto disponibile, già da tempo, Onorio Rosati, ex segretario della Camera del Lavoro milanese ma osteggiatissimo da Susanna Camusso, al punto che l'attuale segretaria Cgil ha spezzato una lancia a favore di Gori e solo anatemi contro Rosati (la ruggine, raccontano i bene informati, risale a problemi di cassa, nel senso che il vertice Cgil non ha gradito le spese elettorali effettuate dal Rosati per farsi eleggere con il Pd, prima che ne uscisse per seguire l'avventura di Bersani e compagni). Frattura a sinistra anche con i seguaci di Pisapia, che ha già presentato una lista pro Gori in vista delle elezioni lombarde.
Dalle parti del Pd si spiegano l'irrigidimento in termini politici generali: finché Maroni era in campo, la corsa per il Pirellone sembrava senza speranza per la sinistra, ma dopo la clamorosa rinuncia del governatore, con tanto di polemiche all'arsenico in casa leghista, la candidatura di Gori è diventata di colpo competitiva, una vittoria in Lombardia è meno improbabile, sicché quanti hanno come obiettivo di colpire il Pd e Renzi non vedono che cosa ci guadagnerebbero dall'appoggio al candidato renziano.
Diverso il discorso per il governatore uscente del Lazio. Zingaretti ha sempre tenuto la coalizione ampia, ha curato i rapporti a sinistra, i riflessi della scissione non gli sono cascati addosso, i pisapiani come Smeriglio sono rimasti alleati e poi, racconta chi sta seguendo le vicende laziali, la candidatura alternativa che era circolata rispondeva al nome di Paolo Cento, il rosso-verde, nome ritenuto non proprio in grado di unire né di avere prospettive vincenti. Il fifty fifty all'appello prodian veltroniano non ha però sortito effetti sul piano nazionale, dove pure l'appello mirava, sicché dentro LeU è prevalsa e si è affermata la linea del «mai con il Pd di Renzi», linea dettata da D'Alema e ben accolta da Fratoianni e Civati. «Non hanno capito che con questa legge elettorale il premier verrà scelto dopo le elezioni, in base ai voti e ai rapporti di forza», spiega Dario Franceschini.
LE MOSSE
Renzi nel frattempo si sta cautelando sul fronte della sinistra, non perché sia lì che si attende i maggiori suffragi, ma perché una qualche parola sul quel versante non intende rinunciare a metterla. Sicché ieri ha annunciato ufficialmente che il Pd avrà fior di candidati di sinistra e provenienti dalla sinistra: «Sulla scheda l'elettore del Pd non troverà più il nome di Bersani, ma quelli di Fassino, Cuperlo e Orlando». Del Guardasigilli si sapeva, dell'ultimo segretario dei Ds e dell'ultimo della Fgci si vociferava ma non c'erano certezze di candidatura, ora qualcuna in più. Il leader dem cerca poi di diffondere fiducia, facendo notare che il Pd è «di gran lunga il più premiato» dal 2 per mille dei 730 con 7,9 milioni (più ancora dell'anno scorso, quando furono 6,4 milioni), staccando di molto il secondo, la Lega, che ha raccolto 1,8 milioni.

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