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Pescara, 23/07/2024
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Data: 14/01/2018
Testata giornalistica: Prima da Noi
Hotel Rigopiano, parla Federica Di Pietro: «Sono un’orfana di Stato. I miei genitori uccisi dalla negligenza. La vita è stata facilitata solo dalla gente comune e non di certo dalle istituzioni»

PESCARA. «I miei genitori non sono morti per una valanga, sono morti per l’ignoranza, l’incoscienza, l’imprudenza, la negligenza di persone che non hanno avuto la coscienza di fare bene il proprio lavoro».

Chiede risposte certe Federica Di Pietro, 30 anni, figlia di Barbara Nobilio, di 51 anni e Piero Di Pietro, 53 anni, dirigente di Tua, l'azienda unica di trasporto regionale abruzzese, morti entrambi il 18 gennaio scorso nell’inferno dell’hotel Rigopiano di Farindola. Sono stati trovati a 4 giorni di distanza e per la famiglia è stato un tormento senza fine così come per tutti i parenti delle altre vittime.

La ragazza per la prima volta ha parlato ai microfoni del programma di approfondimento Rai, Tv7, e ha chiesto che non venga offuscata l’unica verità certa e inconfutabile: «loro erano pronti per andare via ma nessuno è andati a liberarli».

La loro casa è rimasta così com’era esattamente un anno fa quando Barbara e Piero avevano deciso di trascorrere qualche giorno di vacanza in quell’hotel sulla neve, insieme ad un’altra coppia di amici Nadia Acconciamessa, e Sebastiano Di Carlo, morti anche loro.


Si è salvato invece il loro bimbo, Edoardo, e gli altri due figli che erano rimasti a casa e anche loro oggi sono soli.

La casa, ha detto Federica, non è stata toccata perché «mia madre era innamoratissima della sua casa, l’aveva aggiustata come voleva lei. Stavamo qui, benissimo, adesso non ci viviamo più, la casa è fatta di persone, non sono importanti le mura. Non trovo il senso di abitare qui».

La ragazza ha ammesso di non vedere un futuro. Lei, così giovane, appena laureata. Ha discusso la tesi il 27 gennaio scorso, 9 giorni dopo la tragedia, ultimo giorno disponibile per quella sessione: «mi sarei dovuta laureare il 24 ma quel giorno non avevano ancora ritrovato mio padre e non mi sono presentata in commissione. Sono andata il 27 ed è stato bellissimo, poi ho messo la tesi tra le loro bare. È stata la loro laurea, sono stati loro a spingermi a non mollare».


Di Pietro ha raccontato poi di mesi difficilissimi, durante i quali «la vita è stata facilitata solo dalla gente comune e non di certo dalle istituzioni. I colleghi di mio padre, dal macchinista al direttore, ci sono stati tutti vicini».


«Sono un’orfana di Stato», ha ripetuto Federica. «I miei genitori sono stati uccisi, non sono morti mentre stavano al supermercato per problemi di salute. Il funerale perché non l’ha pagato lo Stato? L’Agenzia delle Entrate ci ha bloccato la pratica della successione per 4 mesi perché pretendeva di sapere da noi chi fosse morto prima dei due».

«Spero che chi indaga», ha detto ancora la ragazza, «abbia la coscienza che non hanno avuto chi doveva impedire tutto questo. Mio padre fino all’ultimo minuto della sua vita ha pensato al suo lavoro e altri non hanno fatto lo stesso. Lui quel giorno alle 16.35 ha telefonato a mia sorella per dire che sarebbero tornati sicuramente la sera per dormire tutti insieme. Cinque minuti primi aveva inviato un sms all’assessore del mio paese chiedendogli di liberare un parcheggio perché l’autobus di linea Pescara-Penne non riusciva a passare. Gli ultimi dieci minuti ha pensato a lavorare, a liberare la strada. Cosa che per lui invece non hanno fatto. Mio padre è un uomo, è un esempio da seguire».

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