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Pescara, 24/11/2024
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Data: 16/01/2018
Testata giornalistica: Il Centro
La figlia dei Di Pietro: «Sono un'orfana di Stato». Parla la primogenita dei coniugi di Loreto, tra le 29 vittime: «L'Agenzia delle Entrate ha bloccato la successione per 4 mesi: voleva sapere chi fosse morto per primo»

PESCARA«Sono un'orfana di Stato, i miei genitori sono stati uccisi, non sono morti mentre stavano al supermercato per problemi di salute. Il funerale perché non l'ha pagato lo Stato? L'Agenzia delle Entrate ci ha bloccato la pratica della successione per 4 mesi perché pretendeva di sapere da noi chi fosse morto prima dei due». È lo sfogo di Federica Di Pietro, 30 anni, figlia di Barbara Nobilio e Piero Di Pietro, 51 e 53 anni di Loreto Aprutino, tra le 29 vittime della valanga di Rigopiano.La coppia era arrivata al resort nel tardo pomeriggio del 17 gennaio con gli amici di Loreto Nadia Acconciamessa e Sebastiano Di Carlo e il loro bambino Edoardo, e sarebbero dovuti rientrare a casa il giorno dopo. Ma di quella spedizione si è salvato solo il bambino. In questi giorni la figlia del dipendente dell'azienda di Trasporti abruzzese Tua e punto di riferimento del calcio dilettantistico, dopo anni da giocatore e allenatore, ha affidato al programma di approfondimento di Rai 1, Tv7 i pensieri e i sentimenti maturati in questo anno di silenzio. E con estrema lucidità afferma: «Loro erano pronti per andare via ma nessuno è andati a liberarli. I miei genitori non sono morti per una valanga, sono morti per l'ignoranza, l'incoscienza, l'imprudenza, la negligenza di persone che non hanno avuto la coscienza di fare bene il proprio lavoro». E mentre chiede risposte certe, Federica racconta di una vita che in questi mesi è cambiata completamente per lei e per la sorella Fabrizia che a casa, nella casa dove vivevano con i loro genitori, dal 18 gennaio non sono più rientrate. «La casa», ha detto, «non è stata toccata perché mia madre era innamoratissima della sua casa, l'aveva aggiustata come voleva lei. Stavamo qui, benissimo, adesso non ci viviamo più, la casa è fatta di persone, non sono importanti le mura. Non trovo il senso di abitare qui». La ragazza, che ha discusso la tesi alla Sapienza di Roma dopo il ritrovamento del papà, e che con quella tesi tra le braccia ha affrontato con la sorella il funerale dei suoi genitori a Loreto, ha ammesso anche di non vedere un futuro. «Mi sarei dovuta laureare il 24, ma quel giorno non avevano ancora ritrovato mio padre e non mi sono presentata in commissione. Sono andata il 27 ed è stato bellissimo, poi ho messo la tesi tra le loro bare. È stata la loro laurea, sono stati loro a spingermi a non mollare». Ma quelli che sono seguiti sono stati mesi difficilissimi, durante i quali, ha raccontato ancora Federica, «la vita è stata facilitata solo dalla gente comune e non di certo dalle istituzioni. I colleghi di mio padre, dal macchinista al direttore, ci sono stati tutti vicini».«Spero che chi indaga», ha detto ancora la ragazza, «abbia la coscienza che non hanno avuto chi doveva impedire tutto questo. Mio padre fino all'ultimo minuto della sua vita ha pensato al suo lavoro e altri non hanno fatto lo stesso. Lui quel giorno alle 16.35 ha telefonato a mia sorella per dire che sarebbero tornati sicuramente la sera per dormire tutti insieme. Cinque minuti prima, aveva inviato un sms all'assessore del mio paese chiedendogli di liberare un parcheggio perché l'autobus di linea Pescara-Penne non riusciva a passare. Gli ultimi dieci minuti ha pensato a lavorare, a liberare la strada. Cosa che per lui invece non hanno fatto. Mio padre è un uomo, è un esempio da seguire».



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