ROMA «Si tratta del più grande furto della storia». Anuradha Seth, consigliera dell'Onu, non teme di esagerare nel definire così l'ultima rilevazione dell'organizzazione sulle differenze salariali tra uomini e donne: in media a livello mondiale il gentil sesso guadagna il 23% di meno. Di fatto ad ogni dollaro preso da un uomo, alla donna vanno solo 77 centesimi. Ed è un dato che non conosce «frontiere, settori, età o qualifiche» si legge nel rapporto Lo stato della popolazione nel 2017 che risale ad ottobre scorso.
«Non cè un solo paese al mondo nel quale le donne percepiscono lo stesso salario degli uomini», ha spiegato Seth. Anche quelli considerati più avanzati, da questo punto di vista presentano divari consistenti: secondo l'Ocse a fronte di una media del 14,7%, negli Stati Uniti, ad esempio, il gap è del 18,9%. In Germania è del 17,1%, nel Regno Unito del 15,9%, in Francia del 13,7%. Le donne più sfruttate sono quelle coreane: il gap salariale con i loro colleghi uomini è al 36,7%.
Il lavoro femminile è comunque peggio pagato dappertutto. Anche all'interno delle stesse qualifiche. A far scendere la media delle retribuzioni delle donne, spesso, è il fatto che finiscono per lavorare in settori meno ricchi e appetibili, oppure lavorano meno ore per far fronte al carico di incombenze domestiche e familiari che resta dovunque soprattutto sulle spalle delle donne. Secondo l'Onu, in assenza di azioni forti, ci vorranno oltre 70 anni per colmare il divario.
La strada verso la parità resta lunghissima, quindi. Secondo i dati Eurostat e Ocse, però, Italia sta messa molto meglio: il gap salariale è al 5,5%. Siamo tra i paesi più virtuosi, davanti a noi ci sono Belgio (3,3%), Lussemburgo (4,1%), Slovenia (5%). Ma non è tutto oro quello che luccica. Come spiega nell'intervista in basso il presidente di Valore D, Sandra Mori, da noi la percentuale di dipendenti pubblici è molto alta e nel pubblico la parità salariale è per legge. Diversa la situazione nel settore privato, dove, il gap sarebbe del 19,5%. Dare una percentuale esatta comunque è complicato. L'Osservatorio Jobpricing, che prende in esame la retribuzione lorda annua nel settore del privato (e non quella oraria), calcola la differenza nell'ordine del 12% dello stipendio, circa tremila euro. Cifra che arriva a undicimila euro se riferita agli stipendi manager uomini e donne.
IL FATTORE FIGLILa maternità continua, soprattutto nel nostro Paese, ad essere un fattore penalizzante per il lavoro. Quando in una coppia arriva un bambino, diventa tutto più difficile, a causa della carenza dei servizi pubblici dedicati all'assistenza all'infanzia. Di fronte alla scelta: dai tutto il tuo stipendio alla baby sitter oppure ti cresci da sola i figli abbandonando il lavoro, molte mamme scelgono la seconda opzione. Secondo i dati Ocse in Italia solo un bambino su quattro tra zero e due anni è affidato alle cure degli asili nido. La media Ocse è del 34%, con punte molte più alte proprio nei paesi dove l'occupazione femminile è maggiore, e così in Francia il 51% dei bimbi va agli asili nido, in Danimarca la percentuale arriva al 65%. In ogni caso il gap salariale si acuisce in presenza di figli: secondo le stime ad ogni nascita le donne perdono in media il 4% del loro stipendio rispetto a un uomo, i padri invece vedono il loro reddito crescere del 6%.
Non stupisce quindi che in Italia la partecipazione femminile al mercato del lavoro resta al 48% contro l'oltre 66% maschile. Un dato che si sposa perfettamente con il seguente: sempre in base alle rilevazioni Ocse, in Italia una donna in età lavorativa (15-64 anni) dedica in media 315 minuti al giorno al lavoro non pagato e 197 a quello retribuito, un uomo invece ha un'occupazione pagata per 349 minuti e riserva solo 105 minuti al lavoro non pagato.
«Sono dati che dovrebbero far riflettere tutti. Le donne continuano ad essere l'anello debole del mondo del lavoro. Una situazione davvero inaccettabile. È un tema su cui il sindacato a livello internazionale deve fare di più» commenta la leader della Cisl, Annamaria Furlan. «Per ottenere la parità economica tra uomini e donne - suggerisce Carmelo Barbagallo, leader Uil - si può agire su molte leve, a partire da quelle culturali e formative; ma fisco e contrattazione restano gli strumento migliori».