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Data: 21/01/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Scuola, la richiesta ai professori: dovete lavorare più ore. In cattedra meno che in altri Paesi ma stipendi sotto la media Ocse

ROMA Gli aumenti per i docenti ci saranno, ma non riguarderanno solo lo stipendio. Ad aumentare dovranno essere anche le ore di lavoro. O almeno questa è la richiesta, che però sta rendendo ancora più complicata la già difficile trattativa per il rinnovo del contratto (scaduto dal 2009). Sembra ormai sfumata la possibilità di chiudere tutto entro le elezioni: troppe le voci contestate nella bozza di contratto consegnata dall'Aran (l'Agenzia di rappresentanza negoziale per le pubbliche amministrazioni) ai sindacati. La ministra all'istruzione Valeria Fedeli ha più volte assicurato che il rinnovo sarebbe arrivato in tempi brevi ma le cose non stanno andando come previsto. Le discussioni sono ancora ferme alla parte del contratto relativa ai rapporti sindacali, su cui non è ancora stato fissato il prossimo appuntamento previsto per questa settimana. Di aumenti retributivi per ora non se ne parla: sarà difficile trovare i fondi per arrivare agli 85 euro in più senza intaccare le risorse destinate al merito e alla formazione. Quello che invece può aumentare a costo zero è l'orario di lavoro. Un argomento che, in ambito scolastico, scalda gli animi da sempre. I docenti italiani infatti, abitualmente accusati di lavorare troppo poco, sottolineano che il loro orario reale è molto più esteso di quello che si vede nelle aule, oltre alle ore di insegnamento previste da contratto ci sono gli altri impegni, la preparazione delle lezioni, la correzione dei compiti, le riunioni di programmazione, gli scrutini. L'orario vero e proprio, così come inteso da contratto, prevede che l'attività di insegnamento si svolga in 25 ore settimanali alla materna, in 22 ore settimanali nella scuola elementare e in 18 ore settimanali nelle scuole medie e superiori, distribuite in non meno di cinque giornate settimanali. Alle 22 ore settimanali di insegnamento per le elementari, vanno aggiunte 2 ore da dedicare, anche in modo flessibile, alla programmazione didattica come ad esempio negli incontri collegiali dei docenti interessati, in tempi non coincidenti con l'orario delle lezioni. Inevitabilmente un orario a 25, 22 o 18 settimanali può generare commenti e critiche da parte di chi, al di fuori della scuola, pensa che siano troppo poche le ore rispetto ad altri lavori. Ma per il personale scolastico, a cui infatti è dedicato un contratto ad hoc rispetto agli altri statali così come succede per il comparto della sanità, vanno considerati molti aspetti del lavoro effettivamente svolto che non si limita alle ore di lezione frontale in classe. Ma ora con il nuovo contratto gli obblighi aumenterebbero, a cominciare dalle attività di potenziamento e dall'alternanza scuola-lavoro.
LA BOZZA Nella bozza preparata dall'Aran, tra le funzioni del docente si annoverano infatti accanto alle attività di insegnamento anche quelle per il potenziamento dell'offerta formativa e quelle organizzative e amministrative. A decidere come organizzare l'orario sarà il dirigente scolastico: «Prima dell'inizio delle lezioni - si legge infatti nella bozza - il dirigente scolastico adotta, sulla base delle eventuali proposte degli organi collegiali, il piano annuale delle attività e i conseguenti impegni del personale docente». Inoltre, tra le attività funzionali all'insegnamento, vengono confermati gli adempimenti dovuti presenti nel vecchio contratto come la preparazione delle lezioni e delle esercitazioni, la verifica e la valutazione degli elaborati e i rapporti individuali con le famiglie, ma vengono aggiunte due nuove voci: la formazione e il tutoraggio degli alunni nelle attività di alternanza scuola-lavoro, due attività previste dalla legge della Buona scuola. Si tratta di attività previste dalla riforma ma ritenute finora facoltative, non obbligatorie come invece sembra voler intendere l'Aran: «Il potenziamento e l'alternanza esistono già - spiega Pino Turi, segretario nazionale della Uil scuola - ma non possono certo diventare obbligatori. Non possiamo accettare infatti un contratto in cui esiste l'obbligo di un numero imprecisato di ore, retribuite con il salario aggiuntivo. Sul tavolo di trattativa non abbiamo ancora affrontato il discorso ma, qualora dovesse essere confermata l'obbligatorietà, posso dire fin da ora che non firmo».

In cattedra meno che in altri Paesi ma stipendi sotto la media Ocse

ROMA Meno ore di insegnamento rispetto alla media internazionale, ma anche retribuzioni che risultano normalmente più basse: in questo contesto si muovono gli insegnanti italiani che stanno per rinnovare il contratto di lavoro dopo quasi un decennio di blocco. Quello della scuola è un settore in cui i numeri vanno presi con particolare cautela, perché è difficile definire e quantificare sia l'impegno di chi vi lavora sia i risultati. Ne è ben consapevole anche l'Ocse, l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi, che ogni anno nel suo rapporto Education at a glance mette a confronto i sistemi educativi dei 35 Paesi membri. Il primo problema, ben noto agli stessi docenti, sta proprio nel concetto di orario di lavoro, che certo non si esaurisce nell'insegnamento in senso stretto ma comprende altri compiti per certi versi altrettanto fondamentali. A questo proposito nel rapporto viene fatto notare come l'Italia sia uno degli Stati in cui non viene quantificato in modo preciso il tempo dedicato alle attività al di fuori della classe, a parte le 80 ore da destinare alla partecipazione alle riunioni collegiali dei docenti e ai consigli di classe.
L'INDICATORE Dal confronto sulle sole ore passate dietro ad una cattedra, emerge comunque un impegno leggermente inferiore a quello medio dell'area Ocse. Nella materna gli insegnanti italiani stanno in classe 930 ore l'anno, contro un valore medio di 1001. Nella primaria il confronto è di 752 ore contro 794, nella secondaria di primo grado (le medie) di 616 contro 712, e infine alle superiori di 616 contro 662. Dunque è nella scuola media che si osserva il divario maggiore. Questi valori sono rimasti sostanzialmente stabili negli ultimi 15-20 anni, con una leggera risalita all'inizio di questo decennio, poi riassorbita. Osservando l'attività scolastica da un altro punto di vista, si può fare ricorso ad un indicatore classico come il rapporto numerico tra studenti e docenti. In Italia c'è all'incirca un docente per ogni 12 studenti in tutte le fasce di età: valore che risulta abbastanza più basso della media Ocse e di quella europea per quanto riguarda la scuola primaria, e invece meno distante - se non proprio allineato - relativamente a medie a superiori.
Quanto alle retribuzioni, la situazione risente naturalmente dei mancati rinnovi contrattuali degli ultimi anni. Il confronto internazionale viene fatto in dollari a parità di potere d'acquisto, per neutralizzare le differenze economiche tra i vari Paesi. Concentrandoci sulla scuola media, possiamo osservare un fenomeno interessante: la differenza con gli stipendi medi Ocse è limitata all'inizio ma crescente nel tempo. Così sul salario di ingresso lo scarto è del 6,5 per cento, ma sale al 17,6 dopo 15 anni di carriera, per poi superare il 18 al punto più alto della progressione professionale.
L'ETÀ MEDIA Limitando il confronto retributivo ai soli Paesi che usano l'euro e guardando i valori nominali, un insegnante della primaria da noi parte con poco più di 23 mila euro lordi per avvicinarsi ai 28 mila dopo 15 anni di attività. Sono livelli non troppo più bassi di quelli della Francia, ma sideralmente lontani da quelli dei colleghi tedeschi, che possono vantare una retribuzione iniziala già vicina ai 45 mila euro. E le cose non vanno molto diversamente nelle scuole superiori, dove un docente italiano inizia con poco meno di 25 mila euro per arrivare in 15 anni poco sopra i 31 mila. In Germania i valori lordi sono pressoché doppi. Infine va ricordato un primato non necessariamente positivo della scuola italiana, quello dell'età media dei docenti: ben oltre i 50 anni sia alle medie che alle superiori, contro una media Ocse che non supera i 45.

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