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Data: 22/01/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Germania, un altro governo Merkel «Schulz si è salvato, nel partito c'è tensione e alla fine la base potrebbe bocciare tutto»

BERLINO Alla fine, a quattro mesi dalle elezioni e un vuoto di governo senza precedenti in Germania, il congresso straordinario della Spd ieri a Bonn ha dato il via libera a colloqui per una grande coalizione con la Cdu-Csu. Se andrà in porto, sarà il quarto governo di Angela Merkel e il terzo di larghe intese. La cancelliera ha reagito sollevata dicendo di volere un «governo stabile» e «giustizia sociale». Il voto dei circa 600 delegati è arrivato dopo un lacerante dibattitto di oltre quattro ore ed è stato stretto: su 642 fra delegati e membri della direzione, 362 (56,4%) hanno votato sì e 280 no. Le trattative di governo cominceranno già la settimana prossima (il giorno ancora non si sa) e potrebbero finire a metà febbraio, secondo il desiderio della Merkel. Il condizionale però è d'obbligo. I colloqui potrebbero rivelarsi spinosi e comunque, alla fine, tutti gli iscritti SPD (440.000) saranno chiamati a votare per lettera con sì o no all'accordo negoziato. I tempi tecnici per questo passaggio sono di almeno tre settimane per cui, se tutto fila liscio, il prossimo governo potrebbe giurare prima di Pasqua. Se le cose vanno male, invece, a Pasqua si parlerà di nuove elezioni, che nessuno però dei grandi partiti vuole.

IL CONGRESSO Una cinquantina gli interventi al congresso, compresi i membri della direzione e i governatori dei Länder Spd. I dirigenti si sono spesi quasi tutti per l'accordo di governo, Martin Schulz in testa. L'opposizione era compattata attorno ai giovani dell'organizzazione giovanile Juso, capitanata dal suo leader Kevin Kühnert, divenuto in queste settimane antagonista diretto di Schulz e portavoce del no alla Groko. Il dibattito è stato molto acceso e emozionale con appelli, voce grossa, e sfoggio retorico da ambo le parti. Schulz ha parlato per un'ora (seguito da un solo minuto di applausi molto meno di Kühnert e altri) e ha sentito poi il bisogno di riprendere la parola alla fine prima che cominciasse la votazione: «Questo è un momento chiave nella storia della Spd». «Penso che la Repubblica in questo momento guardi a noi», ha detto concedendo che è vero che «non si deve governare a tutti i costi ma non si deve neanche non governare a tutti i costi». Per lui, e molti nella direzione, un no avrebbe significato le dimissioni. Per strappare la maggioranza, Schulz e gli altri hanno promesso di rinegoziare in sede di trattative di governo con la Cdu-Csu alcuni punti che non erano riusciti a strappare nei colloqui preliminari culminati il 12 gennaio nel documento congiunto di 28 pagine: assicurazione unica privata e pubblica per eliminare le diseguaglianze nell'assistenza sanitaria, riduzione al minimo dei contratti di lavoro a tempo determinato e più flessibilità nei ricongiungimenti familiari di migranti. Tutte richieste cui l'Unione si è detta indisponibile a ritrattare. Ma non è detto che non sia costretta a ripensarci anche lei: dalle elezioni il 24 settembre la Spd e Schulz hanno più volte cambiato idea (ha detto no alla Groko per ben due volte e Schulz poi ha escluso per sé un ministero sotto la Merkel). Ma anche la cancelliera potrebbe trovarsi costretta a ulteriori concessioni: se fallisse anche il negoziato per la grande coalizione, sarebbe il secondo fiasco dopo quello per il governo Giamaica con liberali e verdi. E l'incapacità di metter su un governo, e tornare alle urne, potrebbe significare la fine pure per lei.

IL RINNOVAMENTO Il sì a negoziati di governo ha salvato per ora Schulz dalle dimissioni e la Spd da una crisi di portata difficile da prevedere. Il partito ha giurato di voler portare avanti l'opera urgente di rinnovamento tanto sollecitata dalla base e dai giovani. Si è anche impegnato a mettere in piedi un governo col 50% di donne: nella Spd ce ne sono diverse in pole position ma non mancano neanche nell'Unione. «Prima viene il Paese e poi il partito», la frase famosa di Willy Brandt aleggiava ieri sul congresso a Bonn: il banco di prova sarà quando poi si parlerà in concreto di ministeri e poltrone.


«Schulz si è salvato, nel partito c'è tensione e alla fine la base potrebbe bocciare tutto»

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Norbert Spinrath 60 anni, ex sindacalista, deputato Spd nella legislatura appena finita con incarico di portavoce per l'Europa. Ha seguito il congresso ieri a Bonn. Risultato molto stretto, dice. Se l'accordo non verrà migliorato in sede di negoziato governo, la base lo boccerà Berlino.
Immaginava un risultato così di misura?
«Si prevedeva dall'inizio che sarebbe stato stretto ma è più risicato di quanto immaginassi, il 56% di sì: è al limite dell'accettabile ma ora si è almeno aperta la possibilità di entrare in una coalizione. È stato un dibattito molto buono con buoni interventi sia dei fautori del sì che del no, appassionato, impegnato, argomentato e senza attacchi personali. Mi è piaciuto molto, è la prova che siamo un partito molto vivo. Se avesse vinto il no Schulz si sarebbe dimesso, e anche tutta la direzione, dimissioni in massa. Il risultato conferma Schulz, se avesse perso senza dubbio ci sarebbero state richieste di dimissioni, ma ora non deve temere nulla, non vedo la necessità di un dibattito personale».
La direzione ha promesso di rinegoziare alcuni punti in sede di trattative di governo, realistico?
«Spero davvero che si riesca in sede di trattative a conseguire un decisivo miglioramento dei risultato altrimenti, se la leadership non ci riesce, alla fine gli iscritti dell'Spd voteranno no. Questo è il clima nella base, c'è molto scetticismo. Per questo credo che se l'accordo non sarà migliorato verrà respinto».
Al dibattitto al congresso era palabile il clima teso, ci sono state tensioni?
«Sì molte, ma non ostilità, tutti si sono sforzati di argomentare politicamente le loro posizioni senza attacchi alle persone. Ma l'atmosfera era molto tesa, nessuno si è mosso dalla sala, io stesso non ho fumato per oltre tre ore».
Schulz ha promesso di rinegoziare tre punti a cuore della Spd (sanità, lavoro precario e ricongiungimento familiari profughi) ma l'Unione ha già detto di no.
«Spero che l'Unione scenda dal piedistallo, alle elezioni ha perso il 10 per cento e ora ha più bisogno della coalizione della Spd. Per cui la Merkel (Cdu) e Seehofer (Csu) faranno bene a fare concessioni se no non ci sarà nessun accordo di coalizione».
Ricorda altri congressi accesi come questo?
«No mai, non ricordo nessun'altra situazione del genere. Anche nel 2013 la nascita della Groko è stata difficile ma mai come ora. Non dipende da Schulz ma dalla situazione obbiettiva. La Spd viene accusata di tutto. Ma sono state la Cdu-Csu e la Fdp che non sono riuscite a fare un governo, è stata la Merkel a fallire con la coalizione Giamaica. Ora deve fare concessioni se no fallisce un'altra volta. Se la Cdu-Csu si comporta ragionevolmente ci sono chance di arrivare a un governo prima di Pasqua, altrimenti a Pasqua si parlerà di nuove elezioni».
Si è parlato di molte donne al governo 50% e anche di una rinuncia di Schulz a un ministero
«Penso che sarà un governo con più donne, se il 50 o 40 per cento non so, non è decisivo. Noi anche nel governo uscente ne avevamo tre su sei ministri. Per ora non si è parlato di incarichi, neanche per Schulz, è secondario. Quanto a Kühnert (il leader Juso contro la Groko) non è certo un perdente con un risultato così di misura è un vincitore, ha messo in moto un grande dibattito nel partito. Ha dato il suo contributo e continuerà a darlo per convinzio
ne non per calcolo politico».

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