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Data: 23/01/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Crac Atac - Delibera salva-Atac, imbarazzo dei tecnici Il sì è condizionato. Le falle del piano economico: «Pochi tagli e scarsa produttività»

«Mileti? Eh, sindaca, il segretario generale non c'è: è malato». Risposta di Virginia Raggi, spazientita: «Ah, va bene: allora la dottoressa Maria Rosa Turchi, che è la vicesegretaria. Chiamiamo lei, no?». Voce imbarazzata dallo staff: «Non c'è, è malata anche lei». A questo punto la sindaca - abbastanza contrariata da una situazione surreale per essere il Comune della Capitale d'Italia - si è trovata davanti a un problema nel problema.
Mancava il dirigente del segretariato che firmasse materialmente la delibera di Atac (e che ne seguisse l'iter in Aula), fondamentale per presentare la richiesta di concordato venerdì prossimo al Tribunale. Serviva il timbro tecnico e burocratico del Campidoglio sul Piano economico finanziario della municipalizzata dei trasporti. Non proprio un fatto secondario. Anche perché mentre il Campidoglio si arrovellava su come risolvere questo inconveniente - tra chi scherzava: «Si sa, gira il virus dell'Atac di questi tempi!» - iniziavano a circolare i pareri dei dipartimenti alla delibera. Una lunga teoria di prescrizioni sul piano, arrivate dai settori più interessati all'operazione: Mobilità e Partecipate.
Perplessità su tutto l'impianto del provvedimento salva-Atac che i dirigenti capitolini hanno messo nero su bianco: la produttività troppo bassa, il piano alienazioni dei depositi da rivedere, la partita con i creditori (punto di caduta più importante per il concordato).
LA CRISI
«Insomma, chi firma?». Dopo tante discussioni la sindaca Raggi ha trovato la soluzione. Ed è stata costretta a firmare un'ordinanza urgente per nominare Giovanni Serra, dirigente del Comune, vice-segretario generale. Il provvedimento durerà due settimane. Ma alla fine il risultato è stato ottenuto. Nonostante le assenze dei titolari (Pietro Paolo Mileti e Maria Rosaria Turco). E così la giunta ha potuto approvare la delibera. Da questa mattina la palla passa ai consiglieri comunali che in fretta e in furia (meno di dodici ore) dovranno dire sì, senza fare troppe storie, al provvedimento. Altrimenti? Altrimenti salta il banco.
LA ROAD MAP
Nella corsa e nel salto degli ostacoli c'è un altro piccolo particolare: la maggioranza pentastellata fino a ieri sera non aveva letto tutti i pareri dei dipartimenti, pieni di paletti e criticità. Ma solo un documento girato in conferenza dei capigruppo. «Non proprio il massimo della condivisione: non si gestiscono così, vicende delicate e complesse come queste», è stata la critica dei pochi eletti (tra gli eletti del M5S) che avevano letto tutto il dossier. Anche il Pd, dall'opposizione, ha denunciato: «Hanno secretato il Pef». Ma le recriminazioni lasciano il tempo che trovano: oggi prima in commissione Mobilità, poi in consiglio comunale c'è da approvare la delibera. La maggioranza, assicurano dal Comune, sarà compatta. Salvo assenze e malattie, molto in voga di questi tempi a Palazzo Senatorio. Meglio coprirsi bene.


Le falle del piano economico: «Pochi tagli e scarsa produttività»

Il piano Salva-Atac approda oggi sugli scranni dell'Assemblea capitolina. Di tempo per approvarlo ce n'è pochissimo, perché entro venerdì il documento va spedito al Tribunale fallimentare. Eppure è un piano minato da una sfilza di falle, tecniche, economiche, giuridiche, come hanno sottolineato i tecnici del Campidoglio, sia nel parere della Ragioneria generale che in quello del Segretariato. Le lacune sono così numerose e significative che nella bozza finale del provvedimento è spuntata una clausola anomala: la giunta potrà cambiare il piano concordatario in corso d'opera, «sollecitando l'Atac ad effettuare tutte le migliorie opportune».
IL DIKTAT SUL CONTENZIOSO
Per i tecnici l'operazione-concordato è un rischio per i conti del Comune. La Ragioneria annota che «determinerà un disavanzo di amministrazione», perché il maxi-credito che il Campidoglio vanta nei confronti della sua controllata verrà pagato in vent'anni, solo a partire dal 2026. Insomma, ci saranno «consistenti riflessi diretti e indiretti sul bilancio e sul patrimonio di Roma Capitale » e «l'amministrazione potrebbe essere chiamata a sostenere maggiori oneri». Tanto che all'Atac il Segretariato detta una condizione: rinunciare al contenzioso nei confronti del Comune, «al fine di contenere l'esborso finanziario» di Palazzo Senatorio.
«LAVORARE DI PIÙ»
Nelle relazioni emergono dubbi sulla strategia prospettata dai vertici di Atac per risollevare una società zavorrata da un debito miliardario. L'aumento della produttività suggerito (da 37 a 39 ore di lavoro settimanali, come peraltro prevedeva già il contratto nazionale della categoria) è considerato «insufficiente». Non basta «un mero richiamo all'aumento della produttività», «senza sostanziose azioni di razionalizzazione ed efficientamento dei costi di natura industriale». I tecnici sottolineano quindi «la necessità di conseguire ulteriori e significative riduzioni dei costi aziendali anche in materia di personale».
OBBLIGAZIONI FLOP
Ma è tutto il piano faticosamente elaborato in questi mesi dai manager scelti dal M5S a finire in discussione. I dipartimenti del Comune annotano «particolare perplessità» sulla scelta di ripagare i creditori non solo con una quota del 31% cash, ma anche con obbligazioni a media e lunga scadenza (per coprire rispettivamente il 30% e il 39% del restante credito). Titoli che verrebbero pagati dopo il 2022, quando sarebbe «intervenuta la cessazione della proroga biennale appena concessa» del contratto di servizio. Ecco perché emergono dubbi «sotto il profilo della percorribilità tecnica e della sostenibilità economica». Altre perplessità ancora riguardano la scelta di vendere gli immobili e quella di inserire nella proposta di concordato i crediti maturati dalle altre partecipate del Comune, decisione che avrebbe «ripercussioni sull'equilibrio delle stesse società e oneri a carico dell'amministrazione comunale».
Insomma, scrive la Ragioneria: «Resta ferma la necessità che subito dopo il deposito della proposta» ai giudici, l'amministrazione debba essere «impegnata a migliorare l'offerta concordataria». E su questo l'opposizione è pronta a dare battaglia, a cominciare dal Pd. «Ci è stato dato pochissimo tempo per studiare i documenti, fino a stasera (ieri, ndr) non abbiamo ancora visto il Piano economico finanziario che dovremmo votare tra poche ore in Aula», attaccano le consigliere dem Valeria Baglio e Ilaria Piccolo.

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