L’AQUILA - Salta il Consiglio regionale e un motivo ci sarà: un terzo dell’assemblea legislativa, a partire dai due presidenti di Giunta e Consiglio, è in odore di candidatura alle elezioni politiche del prossimo 4 marzo, dopo le quali il parlamentino abruzzese potrebbe subire un corposo lifting.
Le “grandi manovre” coinvolgono centrodestra e centrosinistra, con un paio di “salti della quaglia” annunciati o possibili da far tremare i polsi, mentre i Cinque stelle restano a guardare (e a protestare) visto che per norma interna hanno l’obbligo di finire il mandato e non sono candidabili.
Nell’ordine, del governatore Luciano D’Alfonso si è già detto tutto: capolista nel listino bloccato proporzionale del Senato su richiesta espressa di Matteo Renzi, dice e ci tiene che venga detto, continua a smarcarsi un giorno sì e uno no, ma i fedelissimi e i vertici di partito sono convinti che alla fine nella partita ci sarà eccome.
Qualche mese fa, a campagna ancora embrionale, il presidente del Consiglio, Giuseppe Di Pangrazio, ha fatto trapelare una richiesta che pure a lui sarebbe giunta, di mettersi in gioco nell’uninominale, a caccia, insomma di preferenze singole; il rumor si è via via appianato, anche perché in gioco c’è anche il fratello, Giovanni, con un progetto centrista che strizza l’occhio al centrodestra e, segnatamente, alla quarta gamba di Noi con l’Italia. Oggi la situazione è nebulosa.
Nella Giunta, a essere tacciato di candidatura c’è tuttora Donato Di Matteo, ma non nel Partito democratico, con cui ha rotto clamorosamente, contestando lo stesso D’Alfonso durante una riunione: la tentazione è quella di un passaggio all’ala sinistra, da Articolo 1 in poi va tutto bene, insomma dentro l’alveo di Liberi e uguali, per correre contro i dem; ambizioni ridimensionate, però, dall’arrivo da Roma di due paracadutati a ispessire le fila degli aspiranti e ridurre drasticamente gli spazi.
Questa dinamica sembra far segnare il passo anche ai piani ambiziosi di Marinella Sclocco, sempre in quota bersaniana, che ha, però, dalla sua la prerogativa di essere donna, visto che di candidate spendibili e utili a garantire la soglia del 40% rosa c’è bisogno come il pane; la sua uscita dalla Giunta comporterebbe, comunque, una serie di scombussolamenti per salvaguardare gli stessi equilibri di genere anche nell’esecutivo abruzzese.
Per chiudere il quadro degli assessori, lo stesso Di Matteo ha spifferato sempre nella contestata riunione, una possibile discesa in campo di Silvio Paolucci, da mesi poco attivo e che non si è segnalato certo, nel passaggio d’anno, per presenzialismo elettoralistico; non del tutto da escludere che possa avere una chance, ma non tra i primissimi posti.
Andando ai semplici consiglieri di centrosinistra, impossibile non partire da Camillo D’Alessandro, ex sottosegretario, papabilissimo a dispetto dell’ombra di paracadutati anche nelle liste Pd e degli strali che si è beccato dal partito pescarese, che lo ha definito poco rappresentativo e non legittimato quanto D’Alfonso. Ma sul proporzionale alla Camera il suo nome è tra i pochi dati per fissi.
Ipotizzabile una presenza, ma solo per riempire le liste, del capogruppo dem all’Emiciclo, Sandro Mariani, che ha già un ruolo di responsabilità ottenuto non ancora trentenne.
Tra gli alleati, sarà di sicuro candidato Lucrezio Paolini, vice presidente vicario dell’assemblea in quota Italia dei valori, partito confluito nella lista Civica popolare di Beatrice Lorenzin.
E nella stessa lista “petalosa” ci sarà, e qui si passa all’opposizione, o almeno fu tale, Giorgio D’Ignazio, che sulle tracce di Federica Chiavaroli ha chiuso la sua esperienza con il Nuovo centro destra ed è transitato armi e bagagli nella coalizione renziana; il rinvio della seduta di oggi lo ha anche “salvato” dall’imbarazzo di sedersi accanto ai compagni di minoranza che, d’ora innanzi, saranno avversari: qualora non eletto, come minimo Forza Italia ne chiederà le dimissioni da consigliere segretario in quota all’opposizione.
A destra a giocarsi la partita c’è quatto quatto l’ex presidente della Regione, Gianni Chiodi, che vanta un filo diretto e vivo apprezzamento di Silvio Berlusconi, nonché ottimi rapporti con il plenipotenziario Gianni Letta, che ha visitato con un blitz a Roma, a dispetto delle smentite di rito fatte trapelare qui e lì.
Il suo scatto in avanti sembra tarpare le ali a Paolo Gatti, vice presidente del Consiglio di minoranza: difficile candidare due profili omologhi in collegi diversi, e comunque l’ex assessore proprio di Chiodi è destinato a pagare lo scotto di aver fatto cadere il Comune di Teramo a 3 mesi dal voto, minando il consenso della coalizione sul territorio puntando al rafforzamento del suo personale, il che è tutto da vedere tra l’altro.
Resta in piedi la partita per Lorenzo Sospiri, capogruppo di Forza Italia, accreditato di una candidatura all’uninominale ma in disfida con un altro ex assessore, Carlo Masci. La partita sarà determinata ad Arcore con prospettive imprevedibili, certo è che i continui smarcamenti rispetto alla linea del coordinatore regionale Nazario Pagano non depongono molto a suo favore in questa fase.