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Data: 26/01/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Liberi e Uguali implode è già rischio scissione Nel Pd guerra sulle liste

ROMA Nel tardo pomeriggio spunta alla Camera Nicki Vendola. Avvolto nel solito sciarpone, è l'unico a sorridere di quelli di LeU visto che è l'unico della nomenklatura di sinistra sinistra a non candidarsi per scelta: pare sia stato chiamato per riportare un po' di serenità dentro la neonata formazione che già rischia di implodere.
Uno dei soci fondatori, Pippo Civati, minaccia di sbattere la porta: «Se le liste sono queste, allora tanti saluti, ci rivediamo il 5 marzo», ha detto il leader di Possibile, che a sua insaputa è stato spostato da Monza, il suo collegio storico, a Brescia, terra infida per le sorti civatiane e molto molto leghista. «E' la legge del paracadute», gli hanno sussurrato allargando le braccia, nel senso che LeU, con un differenziale enorme tra uscenti (un centinaio) e possibili rientranti (da venti a trenta), è alle prese con l'improba operazione di garantire i leader con ogni mezzo, in primis il paracadute, che significa far piombare il nome da garantire ovunque ci sia possibilità di elezione.
Poi ci sono gli abbandoni eccellenti, come il medico di Lampedusa, Pietro Bartolo, presentato come il fiore all'occhiello di una sinistra accogliente, che si è ritrovato candidato in Lombardia, all'altro capo della penisola, sicché ha rinunciato al seggio virtuale: «Rimango a Lampedusa, amo quest'isola, c'è bisogno di me».
C'è anche il caso Abruzzo, dove i componenti la delegazione hanno lasciato il tavolo al grido di «fascisti» (l'hanno proprio scritto in apposito comunicato, «metodi fascisti»), e hanno spiegato: «In Abruzzo al massimo LeU eleggerà mezzo deputato, ma in compenso hanno tolto un abruzzese come Gianni Melilla per far posto, nei due collegi della Regione, a Celeste Costantino, calabrese eletta in Piemonte, e a Danilo Leva, molisano e dalemiano».
BIG IN CERCA DI POSTI
Poi ci sono i big: Laura Boldrini pretende tre seggi in quota, e se ne sta lontana dalle sue Marche per candidarsi in Lombardia al grido: «Sono l'argine al leghismo di Salvini». Niente a confronto dei sette posti sette pretesi da Pietro Grasso, il leader (il portavoce Pasquini, l'ambientalista Muroni, la pasionaria del Brancaccio Falcone, l'ex procuratore antimafia Roberti, più un altro paio). Quanto a lui, Grasso, sarà presente in ben quattro listini proporzionali per avere una qualche certezza di elezione (Palermo, Roma, Napoli, Milano). E quando i vari pretendenti o aspiranti si rivolgono al presidente del Senato in quanto leader, Grasso risponde con tre parole: «Parlate con Migliavacca». Che è il braccio destro di Bersani.
Se si guarda ai giovani big, Roberto Speranza è segnalato candidato in Toscana e nel Lazio ma non nella sua Basilicata, forse perché la calata da Bruxelles di Gianni Pittella del Pd ha ristretto i margini.
Agli inizi dell'avventura di LeU, la battaglia fu impostata all'insegna di chi proponeva più società civile nelle liste. «Comincia tu, allora», hanno replicato a brutto muso a Civati. «Qui l'unico della società civile sono io, diciamo, visto che non sono un uscente», la sarcastica espressione attribuita a Massimo D'Alema. Il quale ha pure i suoi problemi, candidato com'è nel collegio periferico leccese, incerto e traballante, e senza più, raccontano, quella rete trasversale che in passato gli faceva piovere consensi.
Le cose vanno meglio dalle parti del Pd. Matteo Renzi ha stracciato i promemoria piovuti dalle Regioni e ha avocato a sé, e al comitato ristretto, il varo delle liste, rinunciando a Porta a porta e facendo sapere in giro che la maggioranza stava già sforbiciando le proprie, di liste. Restano le tensioni con la minoranza: dopo mezzanotte Renzi ha incontrato Orlando, che ha negato qualunque «disimpegno», ma non i contrasti. Il Guardasigilli chiede 20 posti, Renzi è partito con 8, poi raddoppiati a 15, ma Orlando tiene duro: «Non ci stiamo al semplice diritto di tribuna». E oggi c'è la Direzione.

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