Era una giornata limpida e non faceva neanche freddo. Era il gran giorno di Pescara: la vecchia locomotiva a vapore avanzava sbuffando, con i vagoni d'epoca al traino, verso il primo binario della stazione centrale. L'ultimo treno, dopo l'inaugurazione della nuova stazione, all'alba del 27 gennaio 1988, accompagnato dai battimani della folla a ogni passaggio a livello, fino al bagno di folla finale. Pescara si toglieva il cappio, l'invisibile muro di acciaio che l'aveva fatta città, soffocandola poi, una volta divenuta metropoli. L'ex tracciato ferroviario e ancor di più i 13 ettari delle aree di risulta, sono quel giorno di 30 anni fa la più grande risorsa territoriale: da allora si sono susseguiti concorsi di idee, ipotesi progettuali, bandi su bandi e una difficile trattativa con Ferrovie. Anche calcolando i tempi biblici delle cose italiane, rimane un'enormità di tempo. E una domanda ancora inevasa. Perché le aree di risulta sono diventate un'incompiuta?
L'URBANISTA
«Feci una scommessa con il sindaco Alessandrini che sarei oggi ben felice di onorare - dice Paolo Fusero, direttore del Dipartimento di Architettura e Urbanistica -: la trasformazione delle aree di risulta all'interno del suo mandato elettorale. Avevamo appena consegnato il voluminoso dossier di ricerca Verso Pescara 2027. Io sconsigliai al Sindaco di partire proprio da lì, per la complessità delle vicende politiche che le hanno riguardate e soprattutto per il periodo di recessione economica, che rendeva complicata la possibilità di attrarre investimenti adeguati. Le aree di risulta sono infatti vocate a contenere funzioni di scala metropolitana, capaci di garantire la piena vivibilità della zona che, non dimentichiamolo, come tutte le aree prospicienti le stazioni ferroviarie, è particolarmente delicata sotto il profilo sociale e della sicurezza. Si rendono quindi necessari investimenti e investitori non ordinari. Il sindaco non seguì il mio consiglio, ma io ne ammirai comunque la tenacia. Oggi a distanza di un paio di anni dalla scommessa, il progetto delle aree di risulta ha oggettivamente fatto dei passi avanti, anche per merito del nuovo assessore Civitarese. Purtroppo, devo ancora una volta far notare che il momento per la discussione consiliare non è dei migliori: stiamo entrando nel vivo della campagna per le elezioni politiche, che certamente non favoriranno la pacatezza delle posizioni. Mi domando: perché non chiedere a tutte le forze politiche un armistizio sulle aree di risulta, magari sancito nei programmi elettorali delle prossime amministrative 2019, in cui ognuna si impegna a dare una mano per raggiungere il risultato comune? Avremmo un intero mandato elettorale davanti e probabilmente anche un periodo economico più favorevole di quello appena trascorso che consentirebbe tra l'altro di alzare l'asticella delle prestazioni del progetto, ma soprattutto avremmo la consapevolezza di offrire un contributo tutti insieme al futuro della nostra città».
IL COSTRUTTORE
«È come aver ricevuto l'eredità di un ricco zio e non sapere che farsene». Non ha dubbi Marco Sciarra, presidente dell'Assocostruttori. «In qualsiasi parte del mondo le città sono in grado di rigenerarsi nel giro di quattro-cinque anni. Qui no, siamo da trent'anni a cambiare idea a ogni cambio di amministrazione. Colpe della politica e non solo: è ora di prendere atto del valore rappresentato dalle aree di risulta per esaltare le nuove vocazioni di Pescara, città di sport e grandi eventi. C'è bisogno di raccordare la viabilità, di creare spazi per spettacoli, un teatro di giuste dimensioni, parcheggi sì ma senza pensare di andare sotto terra; verde pubblico ma non un bosco che sarebbe ingestibile sotto il profilo della sicurezza urbana; c'è bisogno infine di capire che una quota di edilizia residenziale per raggiungere una compatibilità economica. Siamo nel cuore della città e la ex stazione può diventare il naturale proseguimento di corso Umberto: un grande boulevard di accesso per chi arriva con il treno. Le forze politiche dovrebbero concordare un progetto condiviso e impegnarsi a realizzarlo a prescindere dai cicli elettorali».
LA STRADA PARCO
«Se mancano programmi e chiarezza di idee - riflette Mario Sorgentone, presidente dell'Associazione Strada parco - si è succubi delle critiche e delle contrapposizioni, e si cade nell'immobilismo. È quello che sta avvenendo per la strada parco: il filobus designato è fallito, la ditta appaltatrice si è defilata, le somme state in gran parte spese inutilmente e senza prospettive, i lavori sono fermi dal 2014. Il Filò fu presentato in pompa magna a piazza Salotto come il mezzo più moderno e innovativo al mondo, ma fu una presa in giro; ci sono tutte le condizioni per rescindere il contratto di appalto e promuovere una nuova progettazione. Noi ci siamo battuti per salvaguardare l'utilizzo ciclo-pedonale e la funzione sociale e culturale che la strada ha assunto in questi anni, come luogo di incontro e di aggregazione per famiglie, bambini, anziani, ciclisti e sportivi, anche perché il tracciato non è idoneo al passaggio dei filobus. La soluzione da noi proposta è quella di piccoli bus elettrici a batteria; non ci sarebbe più necessità della rete di pali e fili, estremamente costosa ed impattante».
IL POLITICO
Chi conosce da vicino la storia è Peppino Quieti, ex parlamentare e amministratore comunale negli anni in cui la nuova stazione ha preso forma: «Sono passati quasi trent'anni dalla prima concessione provvisoria al Comune (dicembre 1989) e quasi diciassette dall'acquisizione definitiva (giugno 2001) e, su dette aree, non si sono ancora concretizzate le indicazioni più volte espresse dalle amministrazioni comunali, cioè verde e parcheggi sotterranei. La cosa non mi sorprende. Più i piani sono grandiosi, più i tempi di realizzazione si allungano. A questo punto, però, visto l'ultimo progetto, mi sento di dire che questi ritardi cadono, in fondo, a proposito. Gli amministratori sono ancora in tempo, infatti, ad apportare qualche correzione. Il parco centrale è, a mio parere, sovradimensionato e sicuramente ingestibile. Credo che quattro ettari, il doppio di Villa Sabucchi, l'area verde più frequentata, siano una soluzione di più agevole manutenzione di un bosco urbano di oltre sei ettari che comporterebbe seri rischi di insicurezza. La salvaguardia delle aree di risulta dai non pochi tentativi di edificazione è stata una costante e non facile direttrice delle amministrazioni comunali negli anni dal 1960 a oggi. Ho forti perplessità, di conseguenza, nell'immaginare due grossi edifici per residenze e servizi a nord e a sud dell'area, previsti dal progetto. Quanto alla viabilità, non concordo sull'interramento della direttrice sud-nord e sulla eliminazione della strada davanti al nuovo fabbricato ferroviario. Ciò porterebbe ad una riduzione delle possibilità offerte agli automobilisti di attraversare la città da nord a sud. Pescara è una città che si sviluppa prevalentemente in senso longitudinale. La sotterranea creerebbe, inoltre, interferenze con i parcheggi interrati, con il terminal bus, mentre l'eliminazione dei veicoli dalla strada davanti alla nuova stazione renderebbe non fruibili i sottopassaggi della stazione. Circa i parcheggi, osservo che il numero dei posti-auto previsto (800+800 su due silos e altri 400 interrati) mi sembra insufficiente. I costi: ritengo che il ridimensionamento di circa due ettari di bosco, con conseguente aumento dei posti auto, dovrebbero produrre un risparmio tale da compensare l'abbandono dell'ipotesi dei due edifici. Meglio rinviare a tempi migliori la realizzazione di qualche parte del progetto che compromettere l'area con la costruzione di fabbricati di forte impatto ambientale».