ROMA Il Pd cambia pelle. Matteo Renzi ribalta le quote un tempo assegnate agli eredi del Pci e della Dc divenuti Ds e Margherita nel momento della fusione. Non cambiano però solo i rapporti di forza, ma anche il numero dei fedelissimi che il segretario pensa di portare in Parlamento. Ieri sera, dopo due notti da incubo, Renzi legge poco prima dei tg alcuni nomi in conferenza stampa smentendo tensioni nel partito e con la minoranza interna di Andrea Orlando. La sinistra del partito è in subbuglio. Cuperlo ha deciso di non accettare il collegio di Sassuolo e gli orlandiani insistono facendo filtrare in serata un nota nella quale si accusa il segretario di «veti e mortificazioni». Il Guardasigilli non riesce a sistemare tutti i suoi - compreso Andrea Martella - e ha bisogno di tenere alta la polemica, ma con i sondaggi attuali non tutti si sentono garantiti e le rinunce sono possibili, così come i ripescaggi.
LA DIFESA
Alle proteste della minoranza interna si aggiungono le delusioni dei singoli di peso. A cominciare dal ministro dell'Interno Marco Minniti che nella notte tra venerdì e sabato ha lasciato la direzione del partito non avendo gradito la mancate candidature di Enzo Amendola, Andrea Manciulli e Nicola Latorre, tre esponenti del Pd che rappresentano per il titolare del Viminale dei punti di riferimento in materia di sicurezza e difesa. Un prezzo lo paga anche Paolo Gentiloni che nella notte arriva al Nazareno dove apprende che Ermete Realacci, storico compagno di molte battaglie, è fuori dalle liste, così come il collega di governo Claudio De Vincenti che poi verrà ripescato. Nella notte di venerdì il secondo piano del Nazareno è occupato da Renzi, Lotti, Guerini e Franceschini. La Boschi sale e scende, mentre Fassino arriva quando si consuma il dramma della Serracchiani che scopre di non essere candidata in Friuli. L'ex sindaco di Torino non correrà in Piemonte ma a Ferrara, mentre il suo posto lo prenderà Mauro Marino, vicepresidente della Commissione banche.
Tra i volti nuovi e sicuri di candidatura c'è quello di Lucia Annibali, l'avvocatessa sfregiata dall'acido correrà a Parma, e quello di Francesca Barra, compagna dell'attore Claudio Santamaria, candidata a Matera. Poi una sfilza di rettori e il maestro di strada Marco Rossi Doria (Napoli). Fuori i senatori Lo Giudice e Manconi e l'ex sindaco di Lampedusa Nicolini. Così come non avrà un seggio l'ex governatore siciliano Crocetta. Spazio, invece, a Riccardo Illy in un collegio senatoriale a Trieste, Paolo Siani a Napoli e all'avvocatessa Lisa Noja a Milano.
LA LISTA
Molte le donne candidate, ma poche nei collegi. Sicuramente Maria Elena Boschi correrà a Bolzano e sarà nel proporzionale di Roma Sud con Orfini e la Madia, e capolista a Taormina dove ha organizzato il G7. Michele Emiliano spunta la riconferma di Francesco Boccia e il riconoscimento del suo ruolo in Puglia. In lista c'è il costituzionalista Stefano Ceccanti e il portavoce di Gentiloni Filippo Sensi come Roberto Giachetti a Sesto Fiorentino.
Trovare posto per tutti è complicato e Renzi lo ammette. Anche perchè nel 2013 un centinaio di deputati vennero eletti grazie ad un premio di maggioranza che non c'è più nel Rosatellum. Resta il fatto che dopo cinque anni di sofferenze e lotte con i gruppi parlamentari, Renzi sta costruendo il nuovo Pd partendo proprio dagli eletti. Due giornate di passione, molto complicate che comunque disegnano un partito molto più fedele al suo leader che ha ora davanti un mese di campagna elettorale per risalire nei sondaggi ed evitare che il Pd scenda sotto quota-Bersani, il 25%. Se però questo dovesse accadere, sarà difficile che nel nuovo Pd si aprirà un processo al leader. Così come, nell'incerto scenario del post voto, il segretario del Pd avrà sicuramente meno problemi di manovra per costruire o rifiutare alleanze e alleati.
Gli esclusi sono un caso Cuperlo dice no a Sassuolo Ripescato De Vincenti `
I sommersi e i salvati. Festeggiano questi ultimi, naturalmente. Gli altri no. Claudio De Vincenti era finito sorprendentemente fuori lista. Ripescato però nella notte. Andrà a Sassuolo, seggio rifiutato da Cuperlo. Che ora resta fuori. L'esponente della minoranza aveva declinato l'offerta del seggio nella città della ceramica: «Nessuno ha avvertito me - spiegava - né i compagni di là». A farsi paracadutare così, insomma, non ci stava. E Renzi, nella notte, ha trovato la soluzione per De Vincenti: «Ci correrrà il ministro, allora. Umanamente, in generale, mi dispiace per chi rimane fuori, per questo è stato molto faticoso. Ma detto ciò, chi ha i voti ce la fa». Per ora, nella guerra dei nomi al Nazareno, c'è stato il sacrificio tre gruppi: i gentiloniani (spicca l'esclusione di Realacci), i fassiniani (via la Sereni), i minnitiani (Andrea Manciulli e Enzo Amendola).
Poi ovviamente gli orlandiani. I quali torneranno a casa a decine e decine, per esempio gente di grande esperienza come Daniele Marantelli, ex Ds radicatissimo in Lombardia. Lui mantiene l'aplomb da ex ragazzo comunista, mentre un libertario come il senatore Sergio Lo Giudice osserva: «Non è che basta dissentire per finire con la testa tagliata. Eppure...». E Andrea Martella: «Hanno colpito me, per colpire Orlando».
Più che con Renzi molti di loro, specialmente i senatori, sono infuriati con il proprio capo corrente: «Orlando ha fatto una manfrina. Ha finto di litigare con Renzi e invece era d'accordo». Chissà. Sta di fatto che guardando chi ha vinto e chi ha perso, di sicuro ha vinto la Margherita. E hanno perso i Ds. Dunque la baby gang di Matteo con matita e gomma da cancellare tra gli artigli, secondo l'immagine degli epurati, ha fatto cambiare pelle al partito.
Ci sono vittime tra gli ex montiani. Come lo scrittore-imprenditore Edoardo Nesi. O come Irene Tinagli, economista, subissata di telefonate dolenti: «A te, ma proprio a te doveva capitare...». Arrivano tanti messaggi di condoglianze e non tutti rispondono in maniera olimpica, ma così: «Spero che il Pd il 4 marzo prenda una legnata pazzesca!». E quando vedono le dichiarazioni del capo corrente - «Brutte liste, ma andiamo avanti. C'è la campagna elettorale» - ad alcuni orlandiani viene addirittura da sacramentare.
FATTORE BUONASCUOLA
Il sottosegretario Rughetti, tendenza Delrio, paga appunto la sua vicinanza al ministro emiliano. Sembrava abbastanza sicuro di entrare in lista e invece sconta il fatto che è stato in questi anni, per conto di Delrio, il latore di obiezioni e dissensi rispetto alla condotta renziana. Ma fuori anche renziani come Francesca Puglisi, responsabile scuola ma la BuonaScuola non porta voti.
Niente Manconi, e la raccolta di firme per la sua candidatura ha infastidito il segretario. La propria esclusione il siciliano Lumia la commenta così: «Un suicidio per il Pd». Ci sono quelli che non fanno polemiche o fingono di non farle («È un diritto del partito non candidarmi») ma i più ragionano così: «Renzi vuole solo yesman che, al momento di fare le larghe intese con Berlusconi, gli dicono sì padrone». La fassinista Sereni si dice comunque serena. Nicola Latorre sta tranquillo, continuerà a insegnare all'università e ha tante cose da fare. Ma, senatore, era stato avvertito dell'esclusione? «No, ed evidentemente ognuno ha il suo stile». Il neo-stile dem, dal punto di vista politico, non ha più nulla della sinistra fusion conosciuta finora.