PESCARA Decisioni prese altrove, per la formazione delle liste elettorali, da un «cerchio magico ossequioso e arrogante». È per questo, e altri motivi, che l'assessore regionale Donato Di Matteo si è dimesso dal gruppo del Pd. Già in precedenza non aveva rinnovato l'iscrizione al partito. Le motivazioni sono in una lunga lettera inviata al segretario regionale del partito, Marco Rapino, e al capogruppo regionale, Sandro Mariani. Sempre a proposito della formazione delle liste, Di Matteo sottolinea. «Siamo stati chiamati una solo volta a discuterne in una riunione di partito, e in quell'occasione, com'è noto, ho manifestato il mio pensiero, le mie considerazioni, le mie perplessità liberamente, con la tranquillità e l'oggettività di chi aveva già deciso di non concorrere ad alcuna candidatura. Non ho avuto risposta, né in quella sede, né in altre, non essendoci più stati, ovviamente, altri momenti di confronto, per cui le decisioni sono state assunte in altri luoghi, in altre stanze. Per uno come me, che viene da una quarantennale convinta militanza e continuo impegno, a vario titolo, nelle amministrazioni pubbliche, sempre supportato dal consenso espresso dai cittadini», dice, «dover lasciare la propria casa, che ho contribuito a edificare, è un momento di grande sofferenza. Ho segnalato più volte una sorta di mutazione genetica all'interno del Partito e del Gruppo, assenza di condivisione e di collegialità delle scelte politiche, una condizione per cui la discussione è considerata un inciampo e non un arricchimento. Tutto ciò ha tramutato, a vari livelli, il Partito in un'organizzazione leaderistica personale in cui il potere di vita e di morte appartiene al capo ed è assoluto». Replica il segretario Rapino. «La lunga lettera di Di Matteo», dice, «pone questioni del passato, del presente e del suo futuro che lui ci ha fatto conoscere da 40 mesi a questa parte. Siamo d'accordo che affronteremo le questioni dopo il 4 marzo, conoscendo tutta la storia dell'assessore».