PESCARA - Solo un pit stop (appena il tempo di un cambio di gomme) il passaggio di Donato Di Matteo nel gruppo consiliare di Regione Facile. Il medico di Roccamorice, l'assessore ai lavori pubblici che ha sbattuto la porta del Pd e tagliato i ponti con Luciano D'Alfonso, prepara il rientro sulla scena politica con un suo movimento. Una lista civica che è già nel cassetto da tempo, a dire il vero, con tanto di nome, ma che Di Matteo si guarda bene dal mettere in piazza con largo anticipo. Il prossimo test sarà quello delle regionali, fra un annetto o giù di lì, quando il politico della Val Pescara tornerà sul terreno di gioco per fare valere il suo consistente pacchetto di voti. In buona compagnia, a quanto pare, perché nel frattempo a seguirlo potrebbero essere in tanti. Oggi al nuovo progetto di Di Matteo guardano già con curiosità altri amici non proprio di fede dalfonsiana: dalla deputata uscente Vittoria D'Incecco, esclusa dalle liste del Pd per le prossime politiche; all'ex assessore comunale della giunta Alessandrini, Giuliano Diodati; all'assessore regionale Andrea Gerosolimo, pronto a dare battaglia dalla Marsica. Lo stesso Di Matteo, nella lettera di dimissioni indirizzata al capogruppo del Pd, Sandro Mariani, spiega che il passaggio tra i banchi di Regione Facile (lista per altro costruita proprio da D'Alfonso) è solo un fatto tecnico: «Da qui la decisione di aderire, per il momento, al gruppo di Regione Facile, nella speranza di poter ricostruire un partito di centrosinistra degno di questo nome».
Una lettera di sfogo ma anche piena di risentimento quella che l'assessore regionale ha indirizzato al capogruppo del suo ex partito, dove manca solo il nome e cognome del bersaglio preferito: «Caro Sandro, ti è noto da tempo il profondo disagio, personale e politico, in riferimento alla mia partecipazione all'interno del gruppo regionale del Pd e del partito stesso. Per uno come me, che viene da una quarantennale e convinta militanza nelle amministrazioni pubbliche, sempre supportato dal consenso espresso dai cittadini, dover lasciare la propria casa, che ho contribuito ad edificare, è un momento di grande sofferenza». Quindi le ragioni dello strappo: «Ho segnalato più volte una sorta di mutazione genetica all'interno del partito e del gruppo, un'assenza di condivisione e di collegialità delle scelte politiche, una condizione per cui la discussione è considerata un inciampo e non un arricchimento. Tutto ciò ha tramutato, a vari livelli, il partito in una organizzazione leaderistica personale in cui il potere di vita e di morte appartiene al capo ed è assoluto».
Di Matteo fa ancora osservare di avere spesso sollecitato una profonda riflessione su vari temi dell'agenda politica: «In primis sulla sanità, sulle zone interne e montane, sull'agricoltura. A tutto ciò - spiega ancora l'assessore - si è andata ad aggiungere la vicenda della formazione delle liste per le prossime elezioni politiche, che ha visto candidarsi la metà del gruppo regionale senza una preventiva discussione in merito. Siamo stati chiamati una sola volta a discutere in una riunione di partito e in quella occasione, come è noto, ho manifestato il mio pensiero, le mie considerazioni, le mie perplessità liberamente, con la tranquillità e l'oggettività di chi aveva già deciso di non concorrere ad alcuna candidatura. Non ho avuto risposte». Da tempo i rapporti tra Di Matteo e il governatore erano da separati in casa. La discesa in campo di D'Alfonso, per il seggio di Palazzo Madama, ha solo convinto il suo assessore a fare per primo le valigie.