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Data: 03/02/2018
Testata giornalistica: Prima da Noi
Di Matteo: «basta con il Pd diventato un cerchio magico ossequioso ed arrogante». L’assessore rompe con D’Alfonso e Paolucci e inizia la sua campagna elettorale per le regionali

ABRUZZO. L'assessore regionale Donato Di Matteo abbandona il PD per aderire al gruppo politico di centro sinistra “Regione facile”.

Rimane in Giunta e nella pratica nulla cambia.

Alla fine il disagio di Donato Di Matteo è esploso con una lunga lettera indirizzata al segretario del partito democratico, Marco Rapino, e al capogruppo al Consiglio regionale, Sandro Mariani. Una missiva scritta con tatto e una certa dose di classe ma che tra le righe espone tutto il disagio, le fratture e la tensione accumulata nei mesi.

Dietro la facciata emergono i problemi personali e politici che negli ultimi quattro anni si sono incancreniti. Problemi dovuti principalmente a componenti culturali e caratteriali dei personaggi in campo che hanno dato vita ad una guerra continua con sbarramenti e ritorsioni, atteggiamenti che Di Matteo attribuisce -senza mai citarlo- al Presidente della Regione, Luciano d'Alfonso, e ai suoi sodali, questo perchè sarebbe stato critico ed avrebbe contestato alcune scelte.

Di Matteo decide di fare questo ‘regalo’ al Partito Democratico ad un mese dalle elezioni politiche, dopo aver rinunciato a correre alle elezioni. Di fatto ha solo rimandato di qualche mese per farlo alle regionali con una lista civica.

Niente dialogo e soprattutto niente partito visto che è stato fagocitato completamente da un «capo assoluto che ha potere di vita e di morte» .


Inutile dire che la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il metodo della scelta delle candidature calate dall'alto, dove la base del partito -e persino il segretario regionale Marco Rapino- hanno contato molto poco.

Anche in questo caso tutte le scelte sono da addebitare al presidente D'Alfonso il quale ha tentato in tutti i modi di arginare il malcontento di Di Matteo proponendogli una candidatura.

La verità è che ormai Di Matteo è una vera forza di opposizione al gruppo formato oggi da D'Alfonso e Paolucci tanto che molte delle sue iniziative attendono da anni di essere discusse e magari approvate in Giunta.

Più volte negli anni ha minacciato l'uscita e di spaccare la maggioranza cosa che non è mai accaduta così come non succede oggi.

L’amarezza di Di Matteo traspare tutta se non altro perchè prevede una clamorosa sconfitta alle elezioni e perchè i suoi avvertimenti sono stati totalmente ignorati.

In pratica con la lettera di fuoco l’assessore regionale riesce a non cambiare nulla anche perchè da tempo non era iscritto al PD per cui anche la sua clamorosa “uscita” di fatto è virtuale.



Il segretario Marco Rapino non è colpito nè sorpreso da quanto ha letto e non giudica prioritaria la questione tanto da volerla affrontare dopo il 4 marzo…



LA LETTERA

«Ti è noto da tempo il profondo disagio personale politico in riferimento alla mia partecipazione all'interno del gruppo regionale del PD è del partito stesso», scrive Di Matteo.

«Per uno come me che viene da una quarantennale convinta militanza e continuo impegno a vario titolo delle amministrazioni pubbliche sempre supportato dal consenso espresso dai cittadini, dover lasciare la propria casa -che ha contribuito ad edificare- è un momento di grande sofferenza.

Ho segnalato più volte una sorta di mutazione genetica all'interno del partito e del gruppo, un'assenza di condivisione di collegialità delle scelte politiche, una condizione per cui la discussione è considerata un inciampo e non un arricchimento. Tutto ciò ha tramutato a vari livelli il partito in un'organizzazione leaderistica personale in cui il potere di vita e di morte appartiene al capo ed è assoluto».



GLI ERRORI SULLA SANITA'

Poi Di Matteo ricorda il tema centrale del suo dissenso: la sanità e di come abbia tentato di far comprendere concetti fondamentali, opposti, molto critici, rispetto alla politica della giunta di cui fa parte.

Una contrarietà netta verso la riforma messa in atto da Silvio Paolucci, altro elemento di giunta con il quale non parla da anni se non attraverso missive private che esprimono critiche e mettono in luce responsabilità gravi come lo sbilanciamento eccessivo della politica sanitaria verso le cliniche private ed il progressivo depauperamento dei servizi nelle aree interne. Aspetti sempre ignorati che hanno contribuito -secondo l'assessore Di Matteo- anche alla perdita di consenso e ad un progressivo distacco tra partito-giunta e cittadini.

E dopo l’esito disastroso del referendum non c’è stata alcuna riflessione all’interno del partito, riflessione che Di Matteo comunque aveva più volte sollecitato.



«A tutto ciò si è andata ad aggiungere la vicenda della formazione delle liste per le prossime elezioni politiche che ha visto candidarsi la metà del gruppo regionale senza una preventiva discussione in merito all'interno del gruppo stesso. Siamo stati chiamati», spiega Di Matteo, «una sola volta a discutere in una riunione di partito e in quell'occasione -come noto- ho manifestato il mio pensiero, le mie considerazioni, le mie perplessità liberamente con la tranquillità e l’oggettività di chi aveva già deciso di non concorrere ad alcuna candidatura. Non ho avuto risposta né in quella sede, né in altre non essendoci più stati ovviamente altri momenti di confronto, per cui le decisioni sono state assunte in altri luoghi, in altre stanze, da un ristretto gruppo di persone, in cerchio magico ossequioso e arrogante.

Peraltro senza considerare che queste decisioni porteranno all'indomani del 4 marzo inevitabilmente ad una accelerazione di percorsi politico amministrativi regionali di cui non si è tenuto doveroso conto».



«A tutto ciò devo aggiungere la mia personale delusione in merito alla progressiva perdita dei rapporti umani, condizione indispensabile nella mia visione delle cose nella condivisione di un progetto politico della partecipazione è una comune battaglia ideale. Le occasioni di confronto tra di noi sono andate via via diradandosi fino a scomparire del tutto».

«La militanza, la personale storia politica, le competenze, lo spirito di iniziativa, le sensibilità, la passione sono e sono sempre stati elementi fondanti dell'agire politico di un uomo libero non ricattabile e condizionabile, animato solo da valori e ideali come io ho dimostrato di essere».

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