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Data: 04/02/2018
Testata giornalistica: Prima da Noi
Verso il voto del 4 marzo - Elezioni, se D’Alfonso diventa senatore al voto in Abruzzo entro 3 mesi. Ecco cosa dice il parere del Consiglio regionale, servizio legislativo

ABRUZZO. Cosa accadrà in Regione dopo l’eventuale elezione al Senato del presidente in carica Luciano D’Alfonso? Le elezioni regionali saranno imminenti, tre mesi al massimo, anche se il governatore sta studiando ‘qualcosa’ affinchè questo non accada.

Lo ha detto proprio lui qualche giorno fa quando ha annunciato la sua candidatura, maturata per portare l’«Abruzzo al governo dopo 25 anni di assenza» (e dimenticando tra gli altri il trascurato ministro Ottaviano Del Turco, 18 anni fa, del suo stesso partito ma acerrimo nemico da sempre).

D’Alfonso tra i proclami di quello che farà una volta in Senato ha anche ricordato che «c’è da portare avanti il lavoro in Regione», assicurando che «farò l’impossibile affinchè la Regione avrà la sua vita naturale. Se servirà», ha aggiunto, «determinerò anche una tensione istituzionale che garantisca il massimo della vita possibile a questa Regione».

Insomma pare che il presidente voglia studiarsi qualcosa, magari attraverso qualche cavillo o piega delle norme sapientemente sfruttata, per mantenere in vita il governo regionale che scadrebbe naturalmente nella primavera del 2019.

Cosa tirerà fuori dal cilindro?

In passato D’Alfonso ha già dimostrato quando era sindaco strappato via dalla poltrona dall’inchiesta della magistratura di poter stupire tutti, ad esempio con il famoso e trascurato certificato medico di «malato ingravescente» che permise allora alla sua giunta di rimanere in carica per diversi mesi prima delle elezioni.

Lo stupore continuò quando poi i fatti dimostrarono che l’ingravescenza certificata era svanita come la malattia.

Ma questa volta che si fa?

La legge è chiara è lo ha ribadito qualche giorno fa anche la direzione Affari della Presidenza, servizio legislativo, rispondendo ad un quesito del Movimento 5 Stelle.

Una volta eletto in Senato, il presidente della giunta decade ed entro tre mesi si deve tornare al voto.

Per tenere in vita il governo regionale D’Alfonso, una volta eletto, potrebbe rinunciare alla poltrona di senatore, magari se le elezioni non dovessero andare bene per il Pd (e lui non diventare ministro).

Non sarebbe una novità, lo fece qualche anno fa anche il presidente della Regione Puglia, Niki Vendola, che disse no al Parlamento per restare dov’era. Solo che lui lo annunciò già in campagna elettorale.

Qui si rischia che venga detto solo a voti ottenuti. Insomma, scenario praticamente impossibile.

Un doppio ‘tradimento’ all’elettorato in soli 2 mesi: prima quello a chi lo aveva voluto in Regione e poi pure a chi lo voleva al Senato?

No, decisamente troppo e ipotesi dell’irrealtà.

Bisogna vedere, dunque, cosa intende D’Alfonso per «tensione istituzionale» ma, legge alla mano, pare che abbia poco margine di manovra.



ECCO COSA DICE LA LEGGE

La legge è chiara: «l’eventuale decadenza, o le dimissioni, del presidente della giunta, eletto a suffragio universale e diretto nel sistema di governo neoparlamentare delineato dalla Costituzione, oltre a non dar luogo a surroga, comportano lo scioglimento del Consiglio regionale, l’interruzione anticipata della legislatura secondo il noto principio del simul stabunt simul cadent e quindi il ritorno alle elezioni».

Dunque nel momento in cui D’Alfonso sarà proclamato senatore (entro fine marzo) si apre un doppio percorso.

Primo: cominciano a scorrere i 30 giorni di tempo (e si arriva a fine aprile) durante i quali avrà l’obbligo di comunicare la novità alla Giunta per le elezioni.

Secondo: partirà d’ufficio l’iter da parte della Giunta per le elezioni attraverso una delibera di contestazione all’interessato, quando la Giunta verrà a sapere della nuova nomina.

Poi entro 5 giorni la segreteria di presidenza dovrà notificare a D’Alfonso la deliberazione di contestazione e lui avrà 10 giorni per presentare controdeduzioni.

Entro i 10 giorni successivi il Consiglio delibera sulla relazione della giunta per le elezioni. Se il Consiglio ritiene che ci sia incompatibilità (come farà a ‘smentirlo’?) il presidente del Consiglio inviterà immediatamente il presidente a scegliere, entro 5 giorni, cosa fare.

In pratica il collega di partito, Giuseppe Di Pangrazio, gli formulerà la fatidica domanda: «che fai Luciano? Resti in Regione o vai al Senato?» Si potrebbe arrivare, insomma, al massimo a metà maggio.

Se non ci pensa lui a decidere il Consiglio regionale, entro 5 giorni, lo dichiarerà decaduto. E a quel punto, entro 3 mesi, bisognerà tornare al voto.

Sembra difficile immaginare che si riescano a stiracchiare così tanto i tempi ed arrivare alla fine naturale che oggi D’Alfonso si augura.

L’alternativa è che D’Alfonso non ce la faccia a raggiungere l’agognato seggio senatoriale e a quel punto il suo ruolo di presidente potrà continuare ma riuscire a governare -in questa ipotesi- sarà impresa da Titani.


MARCOZZI: «L’INCANTATORE NON INCANTA PIU’»

Sara Marcozzi, consigliera regionale che ha richiesto il parere ha detto: «il presidente Luciano D’Alfonso continua a lanciare promesse irrealizzabili per coltivare la sua carriera personale. Sfrutta le istituzioni, i soldi della collettività abruzzese e il suo ruolo di Presidente solo per guadagnare una più comoda poltrona a Roma, meglio retribuita e dotata di immunità parlamentare. Regione Abruzzo è paralizzata da mesi, oggi ostaggio della carriera politica di un solo uomo. Arriva persino a dichiarare che da senatore si dimezzerà lo stipendio, peccato che da presidente di Giunta non ci sia mai riuscito ed abbia sempre votato contro la proposta di legge del M5S sul taglio ai costi della politica. Non è più credibile, non incanta più nessuno e lo sa anche lui, altrimenti non avrebbe scelto di candidarsi nel listino bloccato ma si sarebbe confrontato su un collegio uninominale. Racconta di non aver mai perso e di non aver paura di niente e di nessuno, questa volta credo che la paura sia arrivata, il PD si è vaporizzato, credo sia superfluo parlare ancora di persone come Luciano D’Alfonso. Farebbe bene a dimettersi immediatamente, liberando l’Abruzzo e permettendo agli abruzzesi di tornare al voto e scegliere chi ha a cuore le sorti della regione».

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