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Pescara, 24/11/2024
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Data: 05/02/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verso il voto del 4 marzo - Impresentabili, Di Maio sfida il Pd e Forza Italia Renzi: indagati tra di voi

ROMA Il M5S gioca di nuovo la carta impresentabili, come fece in Sicilia e Luigi Di Maio alza il livello dello scontro con un attacco frontale: «Renzi ci dice che noi abbiamo candidato nelle nostre liste un amico degli Spada. Rispondo io: ma lo dici proprio tu che hai preso i soldi da Buzzi e da mafia capitale per le elezioni?». Il segretario dem risponde così: «Caro Di Maio, quello che ancora non hai capito è che un avviso di garanzia non è una condanna. Perché altrimenti per voi sarebbe un dramma». Il fedelissimo di Renzi e tesoriere Pd, Francesco Bonifazi, annuncia querela: «Di Maio non sta bene, è disperato: rinunci all'immunità parlamentare e risponda in tribunale delle accuse false e infamanti che lancia contro il Pd». Bonifazi si muove sulla scorta della recente giurisprudenza che ha visto la senatrice Paola Taverna, salvata dall'immunità, in un'indagine per diffamazione in cui si accostava il Pd a mafia capitale e il candidato M5S Stefano Buffagni che da consigliere regionale, non può godere del'insindacabilità, e a processo ci è finito per aver criticato Salvini e il sistema Lombardia, facendo un parallelismo con il Pd e mafia capitale.
SINDACI M5S Renzi è per la linea garantista e cita i casi Raggi, Appendino e Nogarin. «Mi augurio che siano tutti innocenti», dice. Il segretario dem non correggerà le liste come volevano i pentastellati che invece, insiste Renzi, candidano «uno scroccone amico degli Spada». Nella lista di proscrizione pubblicata ieri Di Maio ha citato Luciano D'Alfonso, «governatore dell'Abruzzo, indagato a Pescara e a L'Aquila», «Vito Vattuone, rinviato a giudizio», «De Luca junior, imputato di bancarotta fraudolenta». Nelle fila del centrodestra, invece, punta il dito su Luigi Cesaro, «detto Giggino a purpetta, indagato per voto di scambio», Antonio Angelucci, Ugo Cappellacci e Michele Iorio, ma anche Umberto Bossi e Formigoni. E così Di Maio ha messo a disposizione degli altri partiti il modulo Dessì, ovvero la scrittura privata firmata dall'aspirante senatore che dice che si dimetterà se eletto e rinuncia alla pubblicazione del nome sui manifesti e la scheda elettorali. Il costituzionalista Cesare Mirabelli giudica questo documento nullo.
SCOUTING Dove non arriva lo scouting attento dei candidati (ieri un'attivista, Tiziana Mori, che compare nei risultati delle parlamentarie ha raccontato di essere stata candidata a sua insaputa: «la mia privacy è andata a farsi benedire»), arrivano le oscure sentenze politiche del M5S. Dalla Puglia arriva un'altra storia poco comprensibile. Quella di Alessia Cuppone che con 389 preferenze ottenute nelle parlamentarie del M55, avrebbe «conquistato il primo posto nel collegio plurinominale alla Camera in Salento». Leggendo i risultati infatti ha scoperto che il suo nome «era l'unico a mancare» e che nella casella in cui erano conteggiati i «voti ricevuti dai candidati ritirati e/o non in possesso dei requisiti richiesti» il numero era 389. «Quei voti sono i miei, anche perché sono l'unica che manca dall'elenco del collegio Puglia 2'. Ma non mi sono ritirata, né ritengo di non essere in possesso dei requisiti», spiega Cuppone.
Intanto, mentre appare sul blog la lista di proscrizione, gli attivisti puntano il dito sul caso Alberto Artoni, l'ingegnere arruolato come candidato M5S in un collegio uninominale veneto finito nelle maglie di Tangentopoli, e in carcere, nel 1993 e poi archiviato (nel 1998 il reato si avviava verso la prescrizione e soprattutto l'accusatore di Artoni nel frattempo era morto).

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