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Data: 07/02/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Atac, allarme dei revisori: «La proroga al servizio ora è a rischio Antitrust». Collasso Atac, tutti gli errori «Assenteismo e affari sbagliati così l'azienda è entrata in crisi»

C'è una tarma nel pilastro su cui poggia tutta la strategia del Campidoglio per salvare l'Atac dalla bancarotta: la decisione della giunta grillina di prolungare di due anni l'affidamento dei trasporti pubblici alla malandata partecipata di via Prenestina, in barba alle norme nazionali e comunitarie che prevedono la messa a gara del servizio entro il 2019, è «passibile di impugnativa da parte dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dell'Autorità nazionale anticorruzione e da eventuali imprese concorrenti controinteressate». Così si legge nella relazione finale di Marco Costantini, il capo dei revisori legali che hanno certificato la veridicità dei dati e dei piani aziendali appena presentati dall'azienda al Tribunale fallimentare. In realtà, annota Costantini al termine di un documento di 551 pagine, «nemmeno sarebbe necessaria l'impugnazione dello strumento contrattuale attuativo, in quanto l'ipotetica illegittimità della delibera di proroga produrrebbe la declaratoria di inefficacia del contratto a valle».
Difficile sostenere che la giunta grillina non fosse stata avvisata di questo rischio. Praticamente tutti gli organismi tecnici interpellati prima che il piano industriale venisse approvato definitivamente avevano messo in guardia Virginia Raggi e il M5S. A partire proprio dall'Antitrust, che già a novembre aveva invitato l'amministrazione pentastellata a «valutare con estrema attenzione la sussistenza dei requisiti formali e sostanziali per un nuovo affidamento in-house del servizio di trasporto pubblico locale ad Atac (o per una proroga dell'attuale affidamento)».
TUTTI I PARERI IGNORATI
L'Autorità aveva messo nero su bianco che «nonostante la situazione di grave crisi economica e finanziaria in cui versa Atac, non sussistono le condizioni di emergenza o di pericolo imminente di interruzione di servizio che giustifichino questo tipo di intervento», cioè la proroga avallata poco dopo dalla giunta capitolina e ratificata dal Consiglio comunale. Una scelta che costerebbe al Comune di Roma 1 miliardo e 120 milioni.
Sul prolungamento hanno espresso «perplessità» e «profili critici» sia la Ragioneria del Campidoglio che il Segretariato generale: nei rispettivi pareri hanno rimarcato «la dubbia applicabilità», nel caso di Atac, delle deroghe concesse dai regolamenti europei per evitare una gara pubblica, e «la circostanza di disporre in via anticipata il provvedimento di proroga, disgiunto dalla scadenza del contratto in essere», scadenza lontana, considerato che al dicembre 2019 mancano quasi due anni.
Alla fine gli stessi revisori legali, nel lungo dossier spedito ai magistrati, hanno ammesso che sì, i dati aziendali «risultano veritieri» e che il piano di concordato «risulta attendibile, sostenibile e coerente», ma resta l'incognita della proroga e della possibile impugnazione. Un pericolo non di poco conto, considerando che nella delibera che il Movimento ha votato in Assemblea capitolina c'è scritto che «nel caso in cui non si verificassero i presupposti dell'estensione temporale dell'attuale affidamento per un periodo di due anni, si ritiene probabile l'insorgere di gravissime conseguenze per il servizio di trasporto pubblico, a svantaggio di tutta la comunità».
La relazione di Costantini - così come il piano di concordato - è ora al vaglio del delegato agli affari civili della Procura di piazzale Clodio, che dovrà esprimere un parere sulla regolarità della procedura e verificare se ci siano profili penali nella crisi che ha portato la municipalizzata dei trasporti a un passo dal crac.

«Assenteismo e affari sbagliati così l'azienda è entrata in crisi»

È un mix sciagurato di assenteismo record, scioperi in sequenza, investimenti sbagliati e immobili inutilizzati da anni eppure inspiegabilmente mai venduti, che ha portato l'Atac a un centimetro dal default. Le ragioni della crisi nera che ha inghiottito la più grande partecipata dei trasporti del Paese vengono sviscerate, una a una, nella relazione che il revisore legale, Marco Costantini, ha consegnato ai giudici fallimentari del concordato. «I frequenti scioperi del personale - si legge - si traducono in minori percorrenze chilometriche», e quindi in minori incassi per la società comunale, considerato che il contratto di servizio col Campidoglio è tarato sulle corse effettivamente realizzate. «Un ulteriore fattore di criticità», c'è scritto nella relazione, «è l'elevato tasso di assenteismo», che nel periodo 2010-2016 è stato «pari al 12% annuo». Quasi il doppio rispetto a Milano.
Nel nuovo piano industriale è previsto l'aumento delle ore di lavoro settimanale (da 37 a 39) e l'estensione delle ore di guida. Misure non più rinviabili per risollevare l'azienda, considerato che ogni autista dell'Atac oggi macina in media appena 16.130 vetture/km all'anno, mentre per un conducente di Berlino i chilometri annui sono 17mila, per un autista di Madrid 19mila, per un bus driver londinese addirittura 21mila. Per salvare Atac, è imprescindibile un cambio di rotta. Col nuovo piano «la produttività degli autisti dovrebbe attestarsi a 18.251 km per unità, in linea con quella delle altre capitali europee». Un po' meglio di quanto accade a Berlino, sempre peggio di Madrid e Londra.
IPOTESI PREPENSIONAMENTI
I vertici della municipalizzata, come già svelato dal Messaggero, hanno in mente un massiccio piano di assunzioni (620 nuovi autisti, a fronte di appena 207 uscite), anche se nel piano si parla contestualmente di «forme di supporto ai prepensionamenti». Ovviamente sarà necessario anche rinnovare un parco mezzi obsoleto, tra i più vecchi d'Europa, ma nel 2018 concretamente non dovrebbe arrivare neanche un nuovo bus (ne sono previsti 278 nel 2019 e 370 nel 2020).
Ad affossare i conti dell'Atac sono stati anche gli investimenti sbagliati. Tra gli eventi «che hanno concorso ad acuire la tensione finanziaria», riportano i revisori, c'è il flop dell'operazione legata «all'acquisto dell'immobile in località Eur Castellaccio», la nuova sede di Atac che avrebbe dovuto costruire il gruppo Parnasi. L'azienda del Comune versò nel 2009 un mega-acconto da oltre 20 milioni di euro, ma «la data di completamento dell'immobile è stata più volte prorogata fino al 31 dicembre 2016». A gennaio del 2017, «a seguito del riscontrato mancato completamento delle opere», Atac ha chiesto di riavere indietro la caparra, ma la restituzione «allo stato non risulta ancora escussa», registrano i revisori.
Altri errori hanno riguardato la gestione di depositi e uffici ormai dismessi da anni. Il dossier rimarca la «mancata cessione degli immobili non strumentali al servizio», nonostante la delibera sull'alienazione sia stata approvata dal Consiglio comunale nel 2011.
Il documento firmato da Costantini rivela poi un retroscena inedito, uno scontro tutto interno al Campidoglio, tra la giunta di Virginia Raggi e gli uffici della Ragioneria generale. Ad appesantire il fardello del debito, per Atac, è stata anche la comunicazione con cui gli esperti contabili hanno «espresso la volontà di non dare seguito alla delibera della Giunta comunale n. 53 del 12 ottobre 2016», l'atto con cui il M5S avrebbe voluto spalmare in 20 anni («240 rate mensili, a partire dal 2019»), il debito di Atac verso il Comune, 469 milioni. Il niet dei tecnici, si legge nella relazione del revisore, «ha evidentemente comportato la riclassificazione anche di tale debito tra quelli esigibili entro 12 mesi».

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