Il segretario parla dei valori dell'antifascismo a Sant'Anna di Stazzema. «Il disfattismo è il nemico»
CATANIA È il disfattismo il nemico occulto e forse più insidioso del finale di campagna del Pd. Lo dice Matteo Renzi ai dirigenti che invita a battersi voto su voto. E lo dice Paolo Gentiloni a una gremita platea Dem a Catania: «Abbiamo cinque punti di svantaggio dal centrodestra, li possiamo recuperare. Ma ci manca la convinzione che possiamo dare un contributo alla vittoria del Pd e al prossimo governo del Paese: crediamoci, insieme». E suona la carica: «La sfida è tra il centrodestra e il centrosinistra». Alleanze post voto con Berlusconi? «Non possiamo metterci con una coalizione impregnata di populismo e antieuropeismo», risponde il premier. Perciò tra i dirigenti Dem viene malcelato il nervosismo per la «fuga in avanti» di Marco Minniti, che dichiara: «Farei parte di un governo di unità nazionale? Assolutamente sì, purché ci fosse il Pd». Parole che agitano lo spettro della larga coalizione, proprio mentre il Pd è impegnato a contrastare l'idea di un finale già scritto e provare a mobilitare i moderati, con un rilancio, da Sant'Anna di Stazzema, dei valori antifascisti e una campagna tutta in contrapposizione a Matteo Salvini, al centrodestra a trazione «estremista» e al M5s. «Larghe intese? Solo Minniti lo dice - commenta a caldo un dirigente Pd - ma è troppo intelligente per non capire che così rischia di danneggiarci, perché così diamo l'idea dell'inciucio». Renzi glissa e ci scherza su, cogliendo l'assist di una gaffe di chi lo intervista: «Minniti presidente? Si è avvantaggiato, Del Debbio...», sorride. Ma le parole di Minniti vengono lette in controluce, dopo l'intervista a Repubblica in cui tratteggiava lo scenario di Gentiloni al governo e Renzi alla guida del partito. «Nessun rimprovero a Renzi, riconosco la sua leadership: in campagna elettorale si fa gioco di squadra», precisa Minniti. Ma «dal 5 marzo la partita è nelle mani solide del presidente della Repubblica», ribadisce. «La sfida è tra centrodestra e centrosinistra», scandisce però Gentiloni da Catania, dov'è candidato capolista nel plurinominale, davanti a una platea gremita che lo accoglie con una standing ovation. E, mentre Renzi parla di un confronto a due con i Cinque stelle (nel proporzionale), il premier tratteggia l'alternativa tra la coalizione di centrosinistra («Anche se non è l'Ulivo...») e il centrosinistra («Vi raccontano che è popolare ma non è così, è peggio del centrodestra che abbiamo combattuto in passato: populista e nazionalista»). Il Pd è in difficoltà nei sondaggi perché paga «la divisione» del partito. Ma è l'unico pilastro possibile di un governo «che porti avanti una seconda stagione di riforme» e sia «europeista», dice dopo aver citato come esempio virtuoso la grande coalizione di Berlino, dove sarà oggi. «Se non riusciamo ad affermare la forza del Pd, il rischio è che il Paese prenda la piega del nazionalismo, odio, violenza».