Ora che fiutano aria di vittoria, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini si guardano sempre più in cagnesco. E' una competizione feroce, quella tra Forza Italia e Lega. Sia per il 4 marzo, giorno delle elezioni. Sia soprattutto per il dopo, quando le truppe portate in Parlamento saranno decisive per stabilire chi e come comanda. E' di ieri il nuovo botta e risposta: Berlusconi ha indicato Salvini come ministro degli Interni, Salvini ha annunciato urbi et orbi che il premier sarà lui.
Ad Arcore, il Cavaliere guarda e riguarda numeri e dati. Ed è consapevole che la Lega si è presa il meglio dei collegi del Nord e anche al Sud rende a Forza Italia la partita difficile, avendo imbarcato diversi transfughi forzisti con importanti gruzzoli di voti. In più, in Puglia il partito di Berlusconi ha dovuto subire il fuoco amico di Raffaele Fitto rimanendo con pochi seggi sicuri, mentre al Centro è stata Giorgia Meloni ha rastrellare collegi importanti.
Eppure, Maria Stella Gelmini garantisce che «i dati sono confortanti: al Nord la Lega è un po' più avanti nella quota proporzionale, però sarà un pareggio per come siamo riusciti a distribuire le candidature. Un 50 a 50. Al Centro-Sud invece siamo decisamente avanti noi».
I RAPPORTI DI FORZA
Le somme? In base ai dati in mano a Berlusconi, Forza Italia è sicura di incassare 137 deputati e 77 senatori. E ad Arcore assegnano alla Lega 105 deputati e 55 senatori. Un 30-35% in meno, con un rapporto di 3 a 2 a favore dei forzisti. «La partita più importante a questo punto si gioca al Sud, dove 30-40 collegi sono in bilico, contesi con i Cinquestelle. Se vinciamo anche lì, il distacco con i leghisti sarà ancora maggiore. Salvini si scorderà premiership e, probabilmente, anche il governo. Perché è evidente che condividere un esecutivo con lui sarà praticamente impossibile...».
Quest'ultima frase, sussurrata da uno dei collaboratori più stretti del Cavaliere, la dice lunga sulle reali intenzioni di Berlusconi. Anche in caso di vittoria, il leader di Forza Italia non ritiene scontato formare un esecutivo con Salvini. Tant'è, che si rincorrono le voci di una promessa fatta ad Angela Merkel e agli altri esponenti del Partito popolare europeo: «Non porterò i populisti al governo».
Il problema, per Berlusconi, è che il Pd di Matteo Renzi «è quotato troppo basso». Traduzione: il segretario dem non sarebbe in grado di portare in Parlamento un numero sufficiente di parlamentari con cui formare un governo di larghe intese o di unità nazionale. «Il Pd è un disastro», dice un altro stretto collaboratore del Cavaliere, «nei collegi uninominali non vince un solo collegio al Nord e al Sud».
Il tema della Grande coalizione - nonostante le smentite - resta sul tavolo. Paolo Gentiloni, sempre alla Merkel, ha garantito giovedì che «i populisti non governeranno». E ieri Berlusconi ha messo a verbale: «Il nome del premier è già deciso e ho l'ok del diretto interessato, ma i suoi impegni in questo momento sono tali per cui ha chiesto di non ufficializzarlo. Sarà comunque un nome importante che assicurerà all'Italia splendidi rapporti con l'Europa e ci permetterà di ottenere per l'Italia le cose che finora non ha ottenuto». Un identikit che porta ad Antonio Tajani, presidente dell'Europarlamento.