PESCARA Un'enorme scatola. Vuota, murata, inutilizzata. Trent'anni dopo la sua attesissima inaugurazione arrivata il 27 gennaio del 1988 dopo altri 25 anni di lavori, la stazione centrale di Pescara che si vantava di essere venti metri più unga di quella di Termini, a Roma, è una promessa non mantenuta, un'occasione mancata. Un regalo, preziosissimo, scartato e buttato in un angolo e poi a poco a poco, quasi a nasconderne le potenzialità, imprigionato dietro le inferriate e i muri innalzati ovunque. Sotto i tunnel, lungo i binari, su via Ferrari e, lato mare, lungo la facciata d'ingresso dove, uno dopo l'altro, s'inseguono i locali vuoti e le porte murate. È incatenato perfino il parcheggio di via Ferrari che un tempo era custodito e ora è nascosto da reti e rovi.Dopo trent'anni dall'inaugurazione di quest'opera colossale che nei progetti della politica di allora avrebbe dovuto far ottenere a Pescara il compartimento Ferroviario che invece Ancona si è sempre tenuto stretto, il dato finale è che su 19mila metri quadrati di locali disponibili, solo duemila sono affittati e utilizzati. Numeri che Tino Di Cicco, responsabile dell'Osservatorio sulla mobilità di Federconsumatori Abruzzo ha raccolto da Centostazioni, la società di Ferrovie che ha gestita la stazione e i suoi locali fino a un anno fa e che ha pubblicato nel "libro nero" sui trasporti regionali ferroviari che redige periodicamente.Ma a parte le cifre, suscettibili di cambiamento, parlano i fatti. Basta farsi un giro, nella stazione perennemente cantiere, per capire come mai quella promessa di sviluppo per la città e per i pescaresi è diventata solo un pezzo ingombrante da schivare. Un pezzo pregiato che dopo trent'anni, quando i giornali titolavano «Il futuro della città inizia da qui», si è imbastardito fino a diventare una terra di nessuno dove il posto lasciato vuoto da inerzia e burocrazia se lo prende chi un posto non ce l'ha. I disperati, i delinquenti, gli stranieri senza una casa. Gli invisibili. I poveri e i nuovi poveri, quelli che trent'anni fa non esistevano neanche. È per tutti loro, «contro» tutti loro e in nome della sicurezza, che la stazione è blindata e murata in ogni suo angolo, con le porte lasciate senza maniglie o incatenate. Una cattedrale nel deserto foderata di cartelli che segnalano il locale commerciale sfitto e invitano a diventare «partner di Centostazioni».NIENTE BANCOMAT. Nell'atrio dove prima c'era la banca e anche, come ricorda ancora oggi Wikipedia sulla pagina dedicata alla stazione di Pescara, «un deposito bagagli con personale», non solo hanno chiuso entrambi, banca e deposito bagagli, ma non c'è più neanche uno sportello Bancomat. L'enorme parafarmacia ha cambiato gestore e locale, molto più piccolo del passato; resistono le due edicole ai lati dell'ingresso, il bar, la libreria, il tabaccaio con la licenza avviata 70 anni fa nella vecchia stazione, la ricevitoria che dal primo binario si è trasferita a piano terra, ed è arrivata la Fira con i suoi uffici. Ma è andato via Pingue, l'azienda di prodotti tipici abruzzesi che si è spostata all'aeroporto. E questo è tutto. Al primo binario il ristorante che aveva aperto all'inizio ha chiuso i battenti da tempo e pure la cappella. Niente da fare. Tutto vuoto, per centinaia di metri. Da settembre «per motivi pastorali», come si legge nel foglio affisso alla porta della cappella, sempre al primo binario, non si celebra più neanche la santa messa. «I costi alti dell'affitto avranno fatto scappare pure i preti», scherzano alcuni operatori, dagli ultimi avamposti che accolgono i viaggiatori «sempre di meno come i treni».SOLO PENDOLARI.«I treni non si fermano più e io in due anni ho dovuto licenziare due persone», racconta Lucia Liberi che ha ereditato la tabaccheria al centro dell'atrio, dalla nonna. «Abbiamo affitti altissimi e per sopravvivere dobbiamo lavorare sette giorni su sette. E non siamo solo noi ad aver ridotto il personale. Ormai passano solo i pendolari, un po' di vacanzieri l'estate, qualche arrivo per i congressi, ma poca roba. Andiamo con gli orari dei pendolari, la mattina presto, tra le 13 e le 14 e alle sette di sera. Sì ci sono le Frecce, ma per chi scende non c'è neanche il bancomat. Noi e l'edicola siamo tra gli ultimi a chiudere, intorno alle 21, quando arriva l'ultimo treno da Milano, ma ormai è già un deserto. Anche perché», va avanti la commerciante, «la città non ci passa proprio alla stazione. L'area di risulta in queste condizioni è diventata un muro invisibile che nessuno vuole più attraversare».CALDO E FREDDO. Non c'è il bancomat e non c'è neanche il riscaldamento. «Si muore di freddo d'inverno, e di caldo d'estate», dice l'edicolante a destra dell'ingresso». Ma le porte sì, sono spalancate, e per i viaggiatori in attesa ci sono un paio di lampade termiche. Si starebbe caldi nell'unica sala d'attesa riscaldata e chiusa al primo binario, ma non ci sono i monitor per controllare i treni. O meglio, ci sono ma sono staccati i fili. Poi è vero, ci sono i lavori in corso per ascensori e nuove scale mobili, impegno di Rfi che da Centostazioni ha ripreso la gestione di 620 stazioni, tra cui anche quella di Pescara.«FATEVI AVANTI»«Stiamo lavorando al nuovo concept industriale delle stazioni», dice l'addetto stampa di Ferrovie, «che prevede di trasformare le stazioni in piazze cittadine di qui ai prossimi anni. E questo include, oltre alle nuove infrastrutture come ascensori e scale mobili che stiamo realizzando, anche l'aspetto commerciale. Le modalità di affitto si possono ripensare, i commercianti si facciano avanti».©RIPRODUZIONE RISERVATA
«Quella inaugurazione fu una grande festa popolare»
il ricordo di giuseppe quieti
PESCARA«Quella inaugurazione fu una grande festa popolare, perché più che la stazione, da 25 anni si attendeva lo spostamento degli impianti ferroviari». Giuseppe Quieti c'era quel 27 gennaio 1988, lo racconta lui stesso e, anche, la foto pubblicata sul Centro di allora. In quello scatto Quieti, all'epoca capogruppo Dc e consigliere di amministrazione delle Ferrovie, è sorridente accanto ai sindaco Piscione col cappello da capostazione. Quieti, che ricordo ha di quel giorno?Quel giorno Pescara rinacque con quell'opera colossale che pochissime città in Europa sono riusciti a fare. Ci volle molto coraggio ad iniziare avendo uno stanziamento non esaustivo, che non permetteva di completare. Ma alla fine si arrivò all'inaugurazione e Pescara fu liberata dalla schiavitù dei passaggi a livello che la strangolavano. Ci fu la riunificazione della zona collinare con quella del mare. Fu una giornata meravigliosa quando passò l'ultimo treno sulla linea ferrata per poi spostarsi sulla sopraelevata. Ma fu meravigliosa anche per l'acquisizione delle aree di risulta di 13 ettari, una risorsa straordinaria. Da quel momento cominciò una battaglia durissima per salvaguardare quelle aree dai tentativi di costruirci, anche se adesso il progetto prevede due costruzioni a cui sono contrario. Torniamo a quel giorno, c'era anche Remo Gaspari?Non era presente. Gaspari è stato uno degli artefici della stazione, ma non ricordo perché non ci fosse. Mi ricordo Giuseppe Benedetto, del partito liberale, che organizzò il passaggio di quell'ultimo treno. Ma soprattutto c'era la città. Fu una grandissima festa di popolo, ci fu una partecipazione corale.Trent'anni dopo perché la stazione è ancora così vuota? Di chi è la responsabilità?Va distribuita tra le Ferrovie e le varie amministrazioni pubbliche. È stato un errore non aprire nei sottopassaggi gli spazi per negozi e attività. Non si capisce perché Ferrovie e Comune non si mettano d'accordo. Quel giorno dell'88 come immaginava il futuro della stazione?L'entusiasmo era tale che non si pensava a quello che sarebbe potuto essere. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare che questa grande opera sarebbe stata così sottoutilizzata.Lei come la utilizzerebbe?Nei locali della super stazione potrebbero andare gli uffici pubblici quali ad esempio gli uffici regionali unificati.