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Data: 19/02/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Berlusconi: «Fascismo? Temo più l'antifascismo». Legge elettorale, Prodi riapre i giochi post voto

ROMA «Dopo la ballerina vecchietta dello Stato Sociale, eccomi qui: un altro vecchietto». Comincia con una risata Silvio Berlusconi da Fabio Fazio, a Che tempo che fa. Anche se lui si confonde o finge di farlo per continuare sul motivo del vecchietto: «Grazie per avermi invitato all'Aria che tira». Non fa in tempo a sedersi per l'intervista, e subito avverte: «Ho un grande annuncio da dare». Lo dà: «Stamattina abbiamo fatto gli ultimi conti, e ci siamo resi conto che possiamo prendere questa misura. Qual é? Nei primi consigli dei ministri del nostro nuovo governo, faremo un provvedimento per nuove assunzioni nelle forze dell'ordine e nell'esercito e per l'aumento degli stipendi a questi servitori della patria».

LE TAPPE Parla già come se avesse vinto le elezioni Berlusconi. Non formalizza chi, secondo lui, sarà il premier, ma arriva vicinissimo all'annuncio ufficiale su Antonio Tajani. «Non ho ancora - spiega - l'autorizzazione dei soci della coalizione per dare il nome di chi guiderà il governo». «Il nome di Tajani?», chiede Fazio. «Tajani - dice il Cavaliere - guida una delle istituzioni più importanti che esistano, è presidente dell'assemblea europea che è un organo cruciale da cui passano molte decisioni determinati per la vita delle persone e degli Stati. Tutti lo apprezzano. Anche a sinistra lo ritengono il miglior presidente che l'Europarlamento abbia mai avuto».
Ormai dunque il nome c'è, ed è questo. E la strategia che Berlusconi ha messo in campo nell'ultima fase della campagna elettorale è chiarissima. Nei prossimi giorni andrà a Napoli e in Sicilia con lo scopo preciso di strappare voti ai 5 stelle. «Se vinciamo il più possibile nel Mezzogiorno dove i grillini sono più competitivi ma mai quanto noi - dice infatti il Cavaliere ai suoi collaboratori nella war room tra Arcore e Roma - è davvero fatta». Il Settentrione non dà pensieri a Berlusconi: «Nei collegi uninominali vinciamo ovunque». Però c'è la competizione con Salvini, e allora a fine campagna elettorale un altro grande evento di propaganda il leader forzista lo ambienterà a Milano. Città in cui il 24 marzo Salvini farà la sua manifestazione in piazza Duomo. Corpo a corpo a Sud con i grillini e corpo a corpo al Nord con i leghisti. Anche la promessa di più organici e più soldi alle forze dell'ordine rientra nella sfida, proprio sul terreno securitario che è quello tipicamente salvinista, con il leader leghista. Così come un'altra cosa che Berlusconi ha detto da Fazio va collegata alla competizione nel centrodestra. Salvini è tutto spostato a destra, ed è diventato il nemico più visibile oltre che l'obiettivo del cosiddetto antifascismo militante. Berlusconi ieri ha recuperato su questi temi che sono vintage ma diventati centrali in questa strana campagna elettorale. «Non mi preoccupa - spiega Silvio - un ritorno del fascismo, perché proprio non esiste questa eventualità. Sono tutti morti quelli che fecero il fascismo. Parliamo di un secolo fa. Fascismo e nazismo, che nacquero dal socialismo, poterono affermarsi perché c'erano Mussolini ed Hitler. Adesso non ci sono più loro e neppure i fenomeni a loro legati». E su Macerata: «Si è trattato dell'atto di un singolo fuori di testa».

GIANNI MORANDI Semmai, e qui Berlusconi adotta un tono duro pensando agli episodi di Piacenza e di Bologna, «trovo pericoloso l'antifascismo cha aggredisce i poliziotti e sparge violenza come è accaduto in Emilia. E' allarmante che vengano picchiati gli uomini delle forze dell'ordine». Che invece, vedi sopra, vanno difesi e pagati di più. Il Silvio securitario è anche quello che ribadisce che «i clandestini vanno espulsi dall'Italia» e «il 41 per cento dei reati in Lombardia li commettono gli immigrati». Così non vuole farsi scavalcare a destra da Salvini. E sembra quasi che ormai sia questo il suo vero assillo. Perché sul resto, osserva rassicurante: «I 5 stelle sono fermi al 27-28 e non potranno governare mai. Il Pd si è messo fuori gioco da solo, basse percentuali e zero programmi. Noi invece...». Ma ecco che arriva in studio, da Fazio, Gianni Morandi e parte la gara tra i due cantanti (Berlusconi: «Tu sei famoso solo perché io alla musica ho preferito l'impresa e la politica») a chi si sente più giovane.

Legge elettorale, Prodi riapre i giochi post voto

Teoricamente, sarebbero d'accordo tutti con Romano Prodi. Ossia con il fatto, notato ieri dal Professore sul Messaggero, che il Rosatellum è una brutta legge elettorale. In effetti, è venuta fuori un po' per non deludere il presidente Mattarella; un po' perché non c'erano i numeri per farne un'altra; un po' perché non dando probabilmente la maggioranza parlamentare a nessuno, e la possibilità di fare un governo forte dopo il voto, garantisce più o meno tutti questo strano intreccio proporzionale-uninominale condito di pluricandidature assai comode per i vertici dei partiti.
LA CERTEZZA DEL CAV La base dell'editoriale di Prodi insomma è la demolizione del Rosatellum, considerata legge debole per un'Italia debole, e fin qui ci siamo. Ma poi? Da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi, da Luigi Di Maio ai Liberi&Uguali, in questa fase non può che vincere su ogni altra considerazione l'urgenza di fare fruttare al massimo l'attuale legge e cercare di vincere, anche se è un parolone, con quella o almeno sperare che si riveli d'aiuto per un partito (il mio) contro un altro (il tuo) o per una coalizione (la nostra) contro un'altra (la vostra). Silvio Berlusconi accoglie così la proposta di Prodi, su un necessario «accordo di tutti i partiti subito dopo il 4 marzo per fare una legge elettorale in grado di dare stabilità al governo e di mettere in sicurezza l'Italia»: «Il Rosatellum è la legge - dice il Cavaliere dopo aver letto la proposta del Prof - che ci porterà a vincere tra quindici giorni. Non sarà il massimo il Rosatellum, ma noi siamo in condizione di sfruttarlo al massimo, grazie alla sua logica coalizionale. Il 4 marzo la sorpresa ci sarà, e si chiamerà centrodestra». Ma ammesso che andrà così, poi che destino dovrà avere il Rosatellum?
E' questo il nodo centrale del discorso di Prodi. Lui è convinto che le buone leggi elettorali si fanno all'inizio e non alla fine delle legislature. E lo sa bene sulla sua pelle, visto che il quinquennio 2001-2006 con il centrodestra al potere si concluse con l'approvazione del Porcellum, che riuscì ad evitare un vero successo della coalizione prodiana. E il breve governo del Prof si sarebbe rivelato infatti un calvario. Matteo Renzi l'appello lanciato ora da Prodi lo condivide, ma come dice ai suoi con estremo realismo: «Per fare una buona legge ci vogliono buoni numeri. E speriamo che questi numeri per superare il Rosatellum ci siano nel nuovo Parlamento. Come si sa, a noi questa legge elettorale non piace. E' soltanto un pochino migliore di quella uscita dalla Consulta e peggiore del sistema tedesco. Che avevamo praticamente fatto, ma Grillo purtroppo ha rovesciato il tavolo». Rimettersi al lavoro su questa materia anche il Pd lo ritiene, prodianamente, necessario. E sempre il Pd, come Prodi, ritiene il maggioritario alla francese - grande punto di forza di Macron - il metodo migliore. Ma si può fare? Berlusconi è tranchant: «La nostra priorità, e mi dispiace per Prodi, dal 5 marzo non sarà assolutamente la legge elettorale, e tantomeno una legge elettorale maggioritaria, visto che il sistema tedesco è di gran lunga preferibile. Ma noi penseremo a far ripartire l'Italia, riforme economiche, abbassamento delle tasse, leggi sul lavoro giovanile, e non a far ripartire il sistema elettorale».
IL MEZZO NECESSARIO In casa dei 5 stelle, che pure gridavano «è l'ennesima legge porcata», il Rosatellum se vincono - è la posizione di Di Maio - resta così com'è e se perdono non sarà la legge elettorale il terreno da cui ripartire. Mentre nello schema del governo del presidente, che piace a D'Alema e Grasso, una nuova legge elettorale rientrerebbe quasi naturalmente e su quel versante non sarebbero previste barricate. Giorgia Meloni teme invece la trappola: «Quando si dice di fare subito la legge elettorale, si dice di fare un governo ad hoc. Ossia rifilarci Gentiloni per qualche tempo e poi quello resta lì per sempre».
E dunque, la ricetta Prodi divide. Ma di sicuro, dopo le elezioni di marzo, se davvero l'ipotesi potrebbe essere quella di nuove urne a breve nel caso non avesse vinto nessuno, il mezzo per superare l'impasse dovrebbe essere una legge elettorale diversa. Ma anche se non si torna a votare subito, perché vince qualcuno o perché si trova un accordo largo per non interrompere sul nascere la legislatura, una legge va fatta e farla prima è meglio che farla dopo.

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