SULMONANon sono gli oltre 20 anni di reclusione che aveva chiesto il pubblico ministero Giuseppe Bellelli, di cui 9 solo per Piero Di Nino e c'è l'assoluzione per il reato di falso e truffa, ma soprattutto per quello, politicamente più scottante e imbarazzante, di violazione dei diritti politici, per avere cioè costretto i suoi dipendenti e i loro familiari a votare per la figlia Antonella alle provinciali del 2010. Ma è comunque una sentenza di condanna quella emessa ieri sera dal giudice del tribunale di Sulmona dopo quattro ore di camera di consiglio e sei di requisitorie. A Piero Di Nino, titolare dell'omonimo gruppo trasporti, sono stati comminati 3 anni e 9 mesi di reclusione per i reati di estorsione e violazione dei diritti dei lavoratori. Più tenui le condanne invece per gli altri imputati: per il fratello e co-titolare Stefano Di Nino condannato per il solo reato di violazione dei diritti di sicurezza lavoratori a 9 mesi di reclusione e con il fratello a risarcire le parti civili. E ancora, per lo stesso reato, nei confronti di Angelo Campellone, Marco Amiconi, Angelo Santilli e Ottavio Fernando Pisegna, tutti condannati a 6 mesi di reclusione. Assolti, poi, Marco Caldarozzi, Attilio D'Andrea e Natalino Liberatore che, con i fratelli Di Nino, erano accusati di estorsione, ovvero di aver costretto gli autisti ad installare sui mezzi dell'azienda, magneti che avrebbero contraffatto sui cronotachigrafi gli orari di lavoro e soprattutto le pause obbligatorie per legge. A questa ipotesi era legata anche l'accusa di violazione della normativa sulla sicurezza dei lavoratori e della restrizione dei loro diritti sindacali attraverso la creazione di una sorta di sindacato interno accondiscendente alla proprietà e quelle di truffa e falso per aver cioè contraffatto alcuni documenti per evitare alcune multe contestate ad un autista. E infine il reato di maggiore interesse pubblico, se non altro perché legato al destino politico di Antonella Di Nino (non indagata, né imputata), figlia di Piero, e oggi candidata al Senato per Forza Italia. Secondo l'accusa il padre dell'allora (2010) candidata alla Provincia, avrebbe costretto i suoi dipendenti e le loro famiglie a votare per la figlia, dietro la minaccia di ridurre gli orari di lavoro e le loro buste paga. Una scena da anni Cinquanta ha detto il pubblico ministero Giuseppe Bellelli con i dipendenti convocati nel piazzale della Di Nino trasporti il giorno delle votazioni a cui venivano impartiti gli ordini di voto. Un reato che per il giudice, tuttavia, non sussiste.