ROMA Al grido di «No ai candidati paracadutati da Roma», in tredici più uno che al momento ci ha ripensato hanno lasciato il Pd di Bolzano per protesta contro la presentazione nel collegio altoatesino di Maria Elena Boschi alla Camera e di Gianclaudio Bressa al Senato. «Ormai il Pd di democratico ha solo il nome, ce ne andiamo perché sono state colpite le rappresentanze locali», hanno spiegato gli ormai ex dem ai giornalisti.
Il promotore dell'operazione scissione, Roberto Bizzo, al momento si è arrestato sull'uscio della separazione, «ho l'animo straziato, ci devo riflettere qualche giorno in più», ha confessato. Si fa in salita il percorso della Boschi per la conquista del seggio più blindato d'Italia? «Ma quando mai, certo non fa piacere a dieci giorni dal voto, ma non è che seguiamo la teoria di Stalin che epurandosi il partito si rafforza, ma neanche ci strappiamo i capelli», spiega Bressa, che in realtà è il vero tramite fra i dem e gli altoatesini, in particolare quelli che si riconoscono, e sono tanti, nella Svp. Bizzo lo ha preso di petto: «La candidatura di Boschi poteva anche andare, se non si fosse accompagnata a quella del bellunese Bressa», ha detto il semi fuoriuscito, e questa a Giancladio non è andata giù: «Quando non si hanno argomenti politici, si ricorre alle vicende geografiche, il che la dice lunga sulla portata di questa operazione», replica sul punto Bressa, che è anche sottosegretario agli Affari regionali.
E lei, Maria Elena? La miniscissione l'ha colta quando aveva in agenda l'ultima settimana full immersion in Alto Adige di campagna elettorale. Non ha fatto spallucce, non ha voluto replicare, ha fatto come se nulla fosse e ha confermato tutti gli impegni, tra i quali visite alle realtà produttive della Mila, le cooperative, il terzo settore, nonché la Bauernbund, potente associazione dei contadini sudtirolesi. Ma soprattutto ha incassato il sostegno, spontaneo e non richiesto, di Reinhold Messner. «Ho conosciuto Maria Elena durante un'escursione in montagna, è preparata e amica della nostra autonomia», l'endorsement del pluriscalatore e saggista. Chi va all'attacco, e pesante, è il segretario del Pd locale, Alessandro Huber, che tira in ballo una vicenda di soldi non pagati al partito: «Bizzo e qualcun altro devono 40 mila euro al Pd, ma ora scappano», l'accusa. Seguita a una ridimensionata altrettanto pesante: «E' gente che ha perso il congresso, si erano schierati con Emiliano ma a novembre hanno riportato il 10 per cento, rispetto al 20 di Orlando e al 70 di Renzi».
Ma il vero asso nella manica per parare il colpo e, se possibile, aumentare i consensi, si chiama legge sulla toponomastica, della quale Bressa è una sorta di relatore ombra. Si tratta di decidere se denominare in lingua italiana, o tedesca, circa ottomila località o consimili, con preponderanza sull'opzione tedesca, cosa che assicurerà ai due candidati Boschi-Bressa almeno il 75% dei voti della popolazione di lingua teutonica.
SUPER BLINDATO
«Quel collegio da blindato diventerà super blindato, possibimente supererà il 50%», assicurano i bene informati. La legge sulla toponomastica pende dinanzi alla Corte costituzionale, oltre a essere in discussione al consiglio provinciale presieduto sempre da Bizzo, «a decidere sia la politica, non i giudici», dicono Bressa e Boschi, che hanno di fatto stretto un patto sulla toponomastica con Svp e cittadini-elettori di lingua tedesca. L'obiettivo è un po' quello che si prefisse Sergio Mattarella, altro illustre candidato a Bolzano nel 2001, che dopo le polemiche di rito disse scambiamoci un segno di pace, e tese la mano a quanti lo avevano criticato.