MILANO La prima novità è che Matteo Salvini indossa una cravatta. Niente felpa per salire sul palco. «Il presidente del Consiglio mette la cravatta», taglia corto lui con un mezzo sorriso, ma si vede che dice sul serio. Operazione 40%, con l'obiettivo di avere un voto in più di Forza Italia. E' questo il risultato dichiarato per le politiche dalla Lega, che a una settimana dal voto chiama a raccolta il popolo padano in piazza del Duomo. «Il 4 marzo o si vince o si muore, o si cambia adesso o mai più. E sapete una cosa? Domenica vinciamo, poi viene il bello. La Lega sarà il primo partito del centrodestra e sarà garanzia di lealtà. Mai governeremo con altri che non siano della nostra squadra. Lo posso dire perché non l'abbiamo mai fatto in passato: mai sostenuto governi minestroni», promette Salvini scaldando la base.
VANGELO E COSTITUZIONE
Il leader del Carroccio marca le distanze con i cortei che si fronteggiano a tre chilometri di distanza - «questa è una piazza di pace, di dialogo, di serenità e futuro, gli altri preferiscono inseguire i fantasmi del passato» - mette da parte i toni accesi e fa un discorso da premier. E al contratto con gli italiani dell'alleato-sfidante Silvio Berlusconi (che non nomina nemmeno una volta) sostituisce il giuramento con gli elettori. «Mi impegno e giuro di essere fedele al mio popolo, 60 milioni di italiani, di servirlo con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero la Costituzione italiana, da molti ignorata, e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo. Io lo giuro, giurate insieme a me? Grazie, andiamo a governare», è il suo discorso di investitura davanti ai militanti. Oltre a Pasolini, alla Fallaci, Pertini e l'ideologo della Lega Gianfranco Miglio, Salvini cita spesso il Vangelo ripetendo che, con il suo governo, «gli ultimi saranno i primi. Vuol dire passare dalle parole ai fatti, sporcarsi le mani, fare fatica ed essere onesti». Poi tira fuori dalla tasca un rosario: «Lo porto sempre con me. Me lo ha regalato un don, fatto da una donna che combatte in strada, non lo mollo». Unica nota stridente in questa adunata pacifista, gandhiana (definizione del governatore del Veneto Luca Zaia) e compatta verso il comune traguardo elettorale è la clamorosa assenza del governatore uscente della Lombardia Roberto Maroni, che a gennaio ha annunciato la sua decisione di sfilarsi dalla corsa al Pirellone. I due non si sono mai amati: Maroni è un fedelissimo di Umberto Bossi, che Salvini ha rottamato, ai tempi del Carroccio andavano insieme ad attaccare i manifesti sotto ai cavalcavia. E adesso che alla scadenza del suo mandato manca una manciata di giorni, può manifestare apertamente il suo dissenso nei confronti della Lega di Salvini. Il quale però non raccoglie la provocazione, anzi porge l'altra guancia riconoscendo «il grande lavoro fatto da Maroni in questi cinque anni», tra cui il referendum sull'autonomia. «Deluso dall'assenza di Maroni? No, io mi godo la piazza», chiude la questione il segretario.
SQUADRA DI GOVERNO
Sul palco schiera Zaia, il candidato alle regionali lombarde Attilio Fontana e Giulia Bongiorno, in corsa al Senato, il capogruppo della Camera Giancarlo Giorgetti, i due economisti anti euro Claudio Borghi e Alberto Bagnai. «Ecco la squadra che si sta preparando ad avere responsabilità di governo», è la presentazione di Salvini. I fedelissimi dicono che sarà così. «Questa è la settimana decisiva, ma si sente l'onda, è nell'aria che ce la faremo, saremo il primo partito della coalizione», è il pronostico del vice segretario Lorenzo Fontana. E forza Italia? Berlusconi è troppo morbido sulle larghe intese, convengono i salviniani, chi vota centrodestra poi vuole un governo che sia tale. Nel suo comizio il leader leghista non riserva neppure un accenno agli alleati, salvo poi precisare: «Con Berlusconi ci vedremo giovedì a Roma». Ma Salvini è sicuro di essere lui il prossimo premier: «Non vedo l'ora».