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Data: 26/02/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Veltroni: «Col pareggio via il Rosatellum, poi il voto L'avversario è Berlusconi». Ma il leader FI si oppone: questa legge non si tocca

ROMA Un altro padre nobile a sostegno della candidatura di Paolo Gentiloni. Walter Veltroni ieri era sul palco dell'Eliseo insieme al presindete del Consiglio a pochi giorni dalle elezioni. Dopo Romano Prodi, anche il primo segretario del Pd a fianco del premier, che più tardi, da Barbara D'Urso lancia un'ennesima proposta per il dopo voto: un bonus fiscale per anziani che hanno bisogno della badante.
Dall'ex vicepremier un intervento non tutto elettorale, ma un rilancio del carattere riformista del partito, avvertendo che «il Pd è un approdo e non un passaggio nella storia della sinistra» e lancia un chiaro altolà a ogni ipotesi di cedimento nei confronti della destra.
L'ex sindaco di Roma, applaudito in platea da Luigi Zanda, Marianna Madia e Anna Finocchiaro, chiarisce che Berlusconi resta «il principale esponente dello schieramento a noi avverso» e che il Pd deve evitare ogni trasformismo. «Una scelta di campo», come sostenne anche Gentiloni, convinto che alla fine non ci sarà «una tentazione masochistica, tipo buttamose a mare come si dice a Roma».
IL PREMIO
Veltroni non cita esplicitamente la formula delle larghe intese, tuttavia la sua contrarietà appare evidente e propone «a titolo personale», che in in caso di stallo si metta mano alla legge elettorale per poi tornare al voto. Il governo, osserva tra gli applausi, «non può essere luogo di pasticci». Dopo il 4 marzo, sottolinea, «se non ci dovesse essere una maggioranza di governo, si deve fare una legge elettorale con premio di maggioranza, costruire coalizioni coese su un programma e poi far decidere gli italiani».
Veltroni, in una Roma che vede il Pd in grande difficoltà, ricorda come ai suoi tempi i dem avessero la maggioranza nelle periferie. Per lui, il Pd deve tornare dove c'è «il disagio», altrimenti «lascerà il campo alla destra, quella estrema, fascista». Cita Berlinguer e i suoi «pensieri lunghi». Quindi cade in un involontario ma emblematico lapsus quando, per lodare l'esecutivo Gentiloni, dice che «il Pci al governo ha fatto bene». Brusio divertito in platea, raccolto dallo stesso premier che lo interrompe. E lui chiosa sorridente: «Sarebbe stato difficile, il Pci non è mai andato al governo, noi invece apparteniamo alla generazione che ha portato la sinistra al governo».
Poi tocca a Gentiloni che apre il suo intervento con un «grazie Walter» e tanti applausi. Ammette che il Pd è in ritardo, non nasconde le difficoltà, ma spiega che con «credibilità, cura delle persone e speranza» i dem possono ancora vincere. Poi annuncia «aiuti fiscali» per i pensionati «che hanno bisogno di una badante, un contributo per non pagare le tasse su quello, sia quelli che hanno bisogno di cure ospedaliere». Quindi, negli studi di Canale5 esclude ogni intesa «con estremisti e populisti». Posizione che Matteo Renzi condivide al punto metterci anche il nome del partito con il quale non intende stringere intese: «Sono assolutamente d'accordo, non si possono fare alleanze né con gli estremisti né con i Cinque Stelle. Io preferisco vincere e che il Pd sia il primo partito».
Parole che non convincono il leader di LeU Pierluigi Bersani, secondo il quale sul governo Renzusconi, c'è chi «è già avanti con il lavoro». L'ex segretario Pd si augura la creazione di una grande area progressista su contenuti di «sinistra di governo».

Ma il leader FI si oppone: questa legge non si tocca

MILANO Il Silvio uno è preoccupato. Perché «ci mancano ancora un milione di voti per arrivare alla maggioranza assoluta, e vedo che nei sondaggi Forza Italia non cresce quanto sarebbe necessario». Per tenere lontana la Lega. Ma il Silvio due, ovvero lo StraSilvio, quello che ieri ha riempito il Teatro Manzoni, dice in tre ore di comizio («Se svengo non vi preoccupate, in questa sala mi è già successo due volte e non c'è due senza tre») che la battaglia elettorale è già vinta. «La coalizione è al 40 per cento ma per governare tranquillamente dobbiamo arrivare al 45. Forza Italia è al 18 ma possiamo salire al 25. Noi siamo e saremo la guida del centrodestra». Dice questo per rassicurare il suo popolo, e l'Europa, rispetto a Salvini, ma anche per tessere le lodi del Rosatellum.
LA PATERNITÀ
Il Pd vorrebbe cambiare la legge elettorale, dopo Prodi anche Veltroni rilancia la cosa ma StraSilvio - che contro Walter disputò la corsa elettorale nel 2008 e vinse - tesse l'elogio di questo sistema. «Devo per la prima volta farvi una confessione...», dice alla platea adorante che ricorda quelle dei primi trionfi berlusconiani. Fiato sospeso. E lui: «Il Rosatellum l'ho inventato io. Non mi sono mai attribuito questa paternità, sennò gli altri lo bocciavano. E' una legge che non cambieremo, perché dà la vittoria vera e garantisce la governabilità alla coalizione che arriva al 40 per cento». Berlusconi lo vuole superare. Come? «L'altra notte ho scritto una lettera agli astensionisti. In cui spiego tutti i guai illiberali che accadranno, se vincono i 5Stelle». «Per evitare che questo succeda - incalza Silvio rivolto alla platea, ed ecco in prima fila la Gelmini, Galliani, il leghista Fontana in corsa per il Pirellone - dovete recitare questa lettera a chiunque voi crediate che sia tentato dal non voto».
Non solo. «Poi caricate queste persone tentennanti sulla vostra auto e portatele al seggio. Magari, sulla fiancata della macchina, mettete la scritta Uber. Così vi fate pure un po' di soldi». Ovazione.
Ma riecco il Silvio uno, quello che prima di salire sul palco e dopo esserne sceso, esterna ai suoi questa volta preoccupazione. «Siamo deboli nel voto giovanile, nella fascia tra i 18 e i 24 anni, perché i ragazzi o votano 5Stelle o non votano. Rischiamo quindi di non avere la maggioranza alla Camera, mentre l'abbiamo al Senato». Timore eccessivo? Il leader azzurro al Manzoni annuncia la defiscalizzazione per le assunzioni dei giovani, il reddito di dignità e un'infinità di altre riforme e sgravi. E sempre lui, proprio temendo la non maggioranza alla Camera, e quindi considerando lo spettro dello stallo e eventuali accordi post-voto ora indicibili, non attacca mai Renzi. Anzi gli fa i complimenti: «Ha eliminato i comunisti». Ma si alza una voce dalla platea: «Renzi è un farabutto!». Silvio non raccoglie.
L'EUROPA
Non punge mai neanche Salvini - con cui sta pensando di fare una manifestazione unitaria, ma non aggiungendosi a quella leghista del primo marzo a Roma - e ribadisce di esserne il garante in sede europea: «Voleva uscire dall'euro e io l'ho convinto che sarebbe sbagliato». E all'Europa si rivolge Silvio quando dice in continuazione: «Ognuna delle nostre riforme ha la copertura finanziaria». È tutto in chiave europea anche l'annuncio che dovrebbe fare giovedì a Matrix: indicando Tajani come premier.
Grandi promesse per non farsi oscurare da Salvini. Ma si è fatto tardi: «Se non la smetto, mi cacciano da questo teatro, anche se è mio». Si avvia quindi a Domenica Live da Barbara D'Urso. Propongo tre referendum, dice agli spettatori: «Uno per l'elezione diretta del Capo dello Stato; il secondo contro i voltagabbana in Parlamento; il terzo per impedire i ricorsi dopo l'assoluzione in primo grado». StraSilvissimo.

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