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Data: 27/02/2018
Testata giornalistica: Il Centro
Matteo Renzi non arretra «Se il Pd perde non lascio». Il segretario del Partito Democratico non intende dimettersi in caso di sconfitta. E la Bonino assicura: «Io premier per il centrodestra? È soltanto fantascienza» Di Maio liquida i Dem «L'avversario è l'ex Cav»

ROMA Questa volta Matteo Renzi non lega il suo destino politico a una percentuale. «Non ci sarà nessun passo indietro», risponde all'ennesima domanda sugli scenari che si apriranno il 5 marzo. Usa una forma impersonale, ma parla di se stesso: se lo spoglio certificherà una sconfitta per il Pd, con percentuali ben al di sotto di quelle del 2013 di Bersani, non farà come al referendum, non si dimetterà da segretario. «Ma il Pd è già primo in un ramo del Parlamento», assicura nel corso di un comizio a Brescia. Si riferisce al Senato e ai sondaggi che stimano i Dem più competitivi presso un elettorato più adulto. Ma invita a non dare per persa la partita. Anzi. «L'operazione primo posto è alla nostra portata», twitta. Nel Pd e alla sua sinistra, sugli scenari del «dopo» già si disegnano posizionamenti e strategie. Tanto che Emma Bonino si affretta a smentire come «fantascienza» l'ipotesi che Berlusconi la strappi al centrosinistra indicandola come premier. Nella partita tutta interna al Pd, i renziani ricordano che il segretario è stato eletto lo scorso anno dalle primarie e dovrà eventualmente essere sfiduciato da un congresso. Ma aggiungono che molto dipenderà dalle percentuali e che Renzi non ha tutte le carte in mano. La minoranza per ora non rompe, nelle dichiarazioni, il fronte unitario della campagna elettorale. Ma Michele Emiliano, dopo avere a lungo auspicato l'indicazione di Paolo Gentiloni come candidato premier, invoca una «nuova fase» il 5 marzo. E dall'area che fa capo ad Andrea Orlando, senza negare che una sconfitta potrebbe aprire anche il dossier della guida del partito, si punta l'attenzione sul tema del governo. Ci si fida poco, infatti, dell'impegno di Renzi a non fare larghe intese con Berlusconi e la richiesta è perciò quella di essere nella delegazione del Pd che andrà al Colle. Fin d'ora il segnale che la minoranza non intende lasciare il «dopo» a Renzi. Il segretario però, a caccia dei tanti indecisi tra i moderati, sugli scenari del 5 marzo si limita a ripetere: «Sarà il presidente della Repubblica ad affrontare il problema» di un eventuale stallo «ma noi il governo con gli estremisti non lo facciamo, in Europa nessuno lo capirebbe». E Walter Veltroni lo aiuta, tornando a frenare sulle larghe intese: «No a governicchi», se nessuno ha la maggioranza serve «un accordo sulle regole» per poi tornare a votare. «Adesso pensiamo a vincere», afferma Dario Franceschini. E se Veltroni assicura che intende avere «un peso politico senza perciò avere un ruolo», il ministro della Cultura nega l'idea di uno sgambetto a Renzi: «Il segretario? L'ho già fatto». Oggi, dopo un'iniziativa al Nazareno sulla sicurezza e contro i «rischi di una deriva pistolera», Renzi parteciperà a un evento a Roma con Gentiloni. Da lì partirà la volata finale: «La squadra è il nostro leader», elenca Renzi, «il segretario del Pd sono io, il premier è Gentiloni, il ministro dell'Economia è Pier Carlo Padoan. Questa è la serietà. I nostri ministri sono lì, non nella fantapolitica» dei nomi per il governo di Di Maio. «Se io fossi l'ad di un'azienda, porterei dei risultati economici positivi: forse mi licenziereste come direttore marketing per come ho comunicato...», scherza il leader Dem con gli imprenditori di Assolombarda. E scommette che nei collegi gli elettori voteranno Pd: «Posso stare antipatico ma chi fa vincere la destra come LeU non è di sinistra».

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