ROMA Sgombriamo subito il campo da un equivoco: anche se nessun partito dovesse vincere le elezioni del 4 marzo non c'è spazio per la riedizione di un governo tecnico. Al di là del giudizio sui suoi pregi e difetti, l'esperienza del governo Monti fa tutt'oggi da ombrello a troppi malumori degli italiani per rilanciarne la tipologia.
E tuttavia, a causa della complessità della legge elettorale e della incertezza segnalata dai sondaggi, non è un segreto che i gruppi dirigenti dei partiti e ciò che resta delle élite italiane stanno ragionando da tempo su un possibile governo da piano B. Il piano da mettere in campo per «forza di cose», in caso di pareggio o non vittoria: un governo sostenuto da un ampio arco di forze politiche. Con un programma essenziale: consentire all'Italia di partecipare alla ristrutturazione dell'Unione Europea cui già stanno lavorando francesi e tedeschi; tenere l'equilibrio dei conti pubblici e la barra sul debito; coadiuvare la ripresa economica emersa negli ultimi mesi; controllare il fenomeno migratorio; esaminare la possibilità di modificare la legge elettorale nel senso di indicare un vincente della competizione. Nonostante l'impasse politico, insomma, si tratterebbe di un esecutivo con una cifra opposta al «governo non operativo» maldestramente intravisto l'altro giorno dal presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker.
LETTURA IN FILIGRANA
Tracce di «piano B» sono emerse in continuazione nelle scorse settimane nel dibattito fra le forze politiche, nascoste fra le pieghe di una campagna elettorale dai toni psichedelici e troppo spesso sconnessi dalla realtà. A ben vedere, dopo ogni sparata dell'uno o dell'altro leader, sono sempre emerse correzioni e segnali di disponibilità al dialogo e persino di moderazione molto apprezzati dalle forze sociali, in particolare da Confindustria, e dai mercati finanziari che si sono tenuti lontani dalle tentazioni speculative.
La cifra principale di questa tendenza è indubbiamente il forte capitale di consenso coagulatosi intorno a una figura come quella di Paolo Gentiloni («Resti premier in caso di pareggio», ha più volte detto Silvio Berlusconi) che piace non solo alle élite ma che è ampiamente in testa nel gradimento degli italiani fra tutti i leader politici.
Ma basta leggere in filigrana le cronache dei giornali per delineare l'emersione di molti altri nomi spendibili per un esecutivo di «ampio consenso». In primis quello di Carlo Calenda, attuale ministro dello Sviluppo, schierato con il centrosinistra ma che non ha perso un grammo della sua autorevolezza tecnica, coronata dal successo degli incentivi del piano Industry 4.0, apprezzata come raramente è accaduto finora sia dagli imprenditori che dai sindacati, a partire dalla Cgil. Altro nome gettonatissimo è quello di Carlo Cottarelli, l'economista noto per il suo piano di spending review, cioè di contrazione della spesa pubblica, paradossalmente molto citato sia da Silvio Berlusconi che da Luigi Di Maio che pure hanno presentato programmi di forti aumenti del deficit. Senza parlare dell'ex comandante dei Carabinieri Leonardo Gallitelli, lanciato mesi fa come possibile premier da Berlusconi.
Un robusto profilo di terzietà mantengono anche figure dell'area di centro-sinistra come Emma Bonino, leader della lista +Europa, e Marco Minniti, ministro dell'Interno e per anni coordinatore politico dei servizi segreti, che proprio nei giorni scorsi ha raccolto l'apprezzamento pubblico dei 5Stelle.
Paradossalmente proprio la rete tessuta dai pentastellati per raccogliere personalità per l'ipotetico governo Di Maio ha finito per mettere in pista molti esperti tripartisan contattati in modo informale ma che, in caso di governo successivo al pareggio elettorale, sarebbe difficile bocciare senza appello. Naturalmente tutti smentiscono tutto, ma nei giorni scorsi dagli ambienti pentastellati erano filtrate indiscrezioni sul gradimento per alcuni nomi come quello di Enrico Giovannini, ministro del Lavoro del governo Letta, regista del Reddito di Inserimento anti-povertà e presidente dell'Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile, e di super-esperti di politica estera come Marta Dassù e Giampiero Massolo.