ROMA L'obiettivo di quotarsi in Borsa è sfumato ad un passo dal traguardo. Per i dubbi del Tesoro e per il no, arrivato in extremis, dallo stesso Pd, che ha preferito rinviare lo sbarco delle Frecce sul listino. Due stop che hanno visto evaporare le ambizioni di Renato Mazzoncini, il capo delle FS a cui appena nominato furono delegati poteri che nemmeno il suo roccioso predecessore, Mauro Moretti, si era mai sognato di chiedere. Sicché per riuscire a portare i treni superveloci a Piazza Affari, Mazzoncini non ha incontrato ostacoli a mettere in secondo piano il grave problema dei pendolari, vera emergenza mai risolta, pur di accrescere la redditività del gruppo in vista del gran balzo in Piazza Affari.
IL BOOM DEI PROFITTI
Un esempio per tutti: il boom dei profitti nel suo primo bilancio, quello relativo all'esercizio 2016, chiuso con un utile netto di 772 milioni, in aumento del 66% sul 2015. Un biglietto da visita di tutto rispetto per attrarre gli investitori e futuri azionisti, volendo dimostrare una solidità di gruppo che certamente avrebbe aiutato al momento di collocare sul mercato le azioni della controllata ad alta velocità.
Il tutto, ovviamente, in un'ottica di gestione sempre più privatistica sebbene con l'ombrello aperto dello Stato. Ma così facendo si sono trascurati aspetti essenziali della gestione complessiva, perché oltre alla pessima qualità dei viaggi dei pendolari, alla fine è passata in secondo piano anche la questione delle manutenzioni. «Soprattutto da ultimo - conferma Andrea Pelle, segretario dell'Orsa Ferrovie - si è pensato troppo alla crescita patrimoniale e poco alle manutenzioni. Non è un'opinione, sono i fatti di queste ultime settimane che lo provano». Basti dire che allo scopo di tagliare i costi, gli addetti al buon mantenimento degli impianti sono stati ridotti di oltre 3 mila unità, 800 solo nel Lazio.
Si domanda retoricamente Pelle: «Quanti di questi tagli hanno contribuito ad aggravare la paralisi della più importante stazione del Paese?». E conclude pungente: «Annunciare un piano da 100 milioni per acquistare scaldiglie, come ha fatto Mazzoncini, appare grottesco, un'autentica operazione elettorale, forse ad agosto annunceranno un piano da 100 milioni per acquistare ventilatori per raffreddare le rotaie».
Sulla stessa linea Claudio Tarlazzi, numero uno della Uil Trasporti: «Mettere in sicurezza il sistema anti-ghiaccio a Roma, coprendo tutti i 300 scambi, sarebbe costato una inezia rispetto agli utili da 180 milioni di Rfi».
Anzi, probabilmente sarebbe bastato che funzionassero le scaldiglie esistenti, molte delle quali evidentemente mal tenute anche per mancanza di personale. Del resto, l'Agenzia nazionale sulla sicurezza ferroviaria insiste a puntare il dito sulla manutenzione dopo il grave incidente di Pioltello, minacciando «pesanti sanzioni se non si cambia rapidamente registro». Parole chiare, indirizzate ai vertici di Fs e della controllata Rete ferroviaria italiana.
Va anche detto che negli ultimi anni sotto la gestione Mazzoncini sono stati praticati aumenti del 30% per i pendolari in Lombardia e Lazio, mentre la media nazionale si è attestata al 20%.Nel frattempo il servizio, è opinione diffusa, è addirittura peggiorato. Viene da chiedersi come i soldi degli aumenti siano stati impiegati. Difficile non pensare che il vertice di Fs abbia preferito concentrarsi sul piano Borsa sottovalutando nodi oggi venuti al pettine. E non a caso per motivi diversi.
SCUSARSI NON BASTA
Non è qui il caso di evocare il terribile incidente di Viareggio, ma gli episodi più recenti fanno pensare che dopo una ripresa di maggiore attenzione, un certo lassismo sia tornato a dominare. Come conferma del resto il caos di Termini per una nevicata di dieci centimetri. «Adesso Mazzoncini chiede scusa degli errori ai viaggiatori - osserva Salvatore Pellecchia, segretario generale aggiunto della Fit-Cisl - ma le Fs non sono una scuola fatta per chi pensa di imparare sbagliando. Evidentemente tra quei manager c'è scarsa preparazione. Per non dire dello stucchevole scaricabarile in tema di responsabilità». Insomma, correre ai ripari dopo aver fallito nell'affrontare l'emergenza non è certo una strategia a misura di un gruppo d'importanza centrale come le Ferrovie.