Matteo Renzi, perché non spedisce anche lei via mail al Quirinale una lista dei ministri?
«La politica non è il fantacalcio. Tutti sanno che nessuno di quei nomi ha chances di fare il ministro. Ma è una straordinaria arma di distrazione: i 5Stelle erano in un angolo con la storia di Rimborsopoli. Con questa brillante trovata mediatica tutti parlano di candidati ministro che non esistono ma nessuno parla dei veri candidati che chi vota Cinque Stelle porterà in Parlamento. Perché alcuni di questi sono truffatori, scrocconi e impresentabili per ammissione dello stesso Di Maio. Ma, puf, il tema è sparito dai media. Grazie a questo escamotage nessuno parla più di Cecconi a Pesaro, della Sarti a Rimini, di Dessì in Lazio. E rischiamo di avere un Parlamento di impresentabili per colpa dei M5S».
Non si fa che ripetere, come se si fosse già votato, che il Pd non ha vinto. Ci può dire perché secondo lei non andrà così?
«Parliamoci chiaro: dopo il No al referendum sarà comunque difficile individuare un vincitore. Il popolo del Sì voleva semplificare il sistema proprio per questo, avendo un vincitore la sera stessa delle elezioni. Sarà chiaro chi vince nei collegi, ma non chi ha vinto le elezioni nazionali. L'unica cosa che farà la differenza sarà chi avrà la rappresentanza parlamentare più vasta. Io credo che il Pd sarà il primo gruppo parlamentare, spero anche il primo partito. Lancio un appello al voto utile: in corsa per essere il primo partito ci siamo solo noi e M5S. Chi non vota per noi, paradossalmente, aiuta l'ascesa dei grillini. Anzi, di un governo M5S-Lega: il rischio è concreto. Noi? Per me è fondamentale ci sia il Pd davanti. Se non sarà così, il Pd è pronto ad andare all'opposizione: non ce l'ha detto il dottore di andare al governo».
Di riforme ne avete fatte tante, una classe dirigente è emersa. Questo è il doppio biglietto da visita che potrà dare sorprese nelle urne?
«Io dico che i risultati parlano chiaro. Se fossi l'amministratore delegato di un'azienda sarei orgoglioso di portare i dati del Bilancio: Pil che passa da -2.3% a +1.6%; occupati che crescono di un milione, fiducia di consumatori e imprese che torna ai livelli record, disoccupazione che cale, boom della produzione industriale. Quanto alla nostra squadra, i nomi delle persone che io ho scelto sono la dimostrazione che abbiamo premiato la competenza e la qualità. Dopo tante polemiche oggi me lo riconoscono gli avversari più incalliti».
Cose fatte, ok. Cose da fare se tornerete al governo?
«Abbiamo fatto il pieno alle imprese. Tanto è vero che l'Italia economica è ripartita. Ora va fatto il pieno alle famiglie: soldi per i figli, carta universale dei servizi per l'infanzia, aiuto alle badanti, più soldi alla sanità pubblica, investimento sulla non autosufficienza. Noi non vogliamo tagliare le tasse ai miliardari, ma tagliare le tasse al ceto medio e alla famiglia».
Con una visione del Paese: così si vincono le elezioni. Lei che Italia immagina?
«Tra dieci anni sogno l'Italia leader europea non solo a economico. Leader nella sanità, nella robotica, nel digitale. Leader nella manifattura e nella produzione culturale. Leader nell'associazionismo, nel sociale, nel terzo settore. Ma per raggiungere questo traguardo occorre la politica dei piccoli passi, non misure shock annunciate e mai realizzate. I nostri concorrenti sparano proposte irrealizzabili, che costerebbero centinaia di miliardi: altro che flat tax, sarebbe una spread tax. Noi abbiamo un programma concreto, puntuale, dettagliato. Quasi noioso. Ma è l'unica strada di saggezza e buon senso per rendere l'Italia più stabile e sicura».
M5S ha presentato alle elezioni una nuova classe dirigente. Meglio quelli di ora rispetto a quelli di prima?
«Sinceramente mi sembrano la stessa cosa. Sono bravi ad andare in televisione, ma i risultati della classe dirigente Cinque Stelle si misurano giorno dopo giorno nelle città, a cominciare da Roma, Torino, Livorno, Bagheria. Mi colpisce, questo sì, il loro cinismo: penso a come hanno scaricato il sindaco di Bagheria in queste ore, anche dal punto di vista umano».
Non è che come avversario preferiva Grillo a Di Maio?
«Una bella gara. Un evasore contro un incompetente. Ma Grillo almeno avrebbe fatto ridere».
C'è un altro Matteo che sembra spopolare: Salvini. L'Italia modello Salvini la spaventa?
«Da Salvini mi divide la retorica della paura. L'idea di vivere in un Paese in cui va tutto male, in cui bisogna lamentarsi di tutto e creare un clima di inquietudine. La lettera che una madre di due bambini adottivi ha inviato a Salvini la dice lunga sull'indice di preoccupazione che la Lega ha creato. Io non ho paura di Salvini, anche perché il Pd prenderà molti più voti della Lega. Ma mi colpiscono i toni estremisti. Quando si alza la voce è un problema per tutti. La notizia che più mi ha impressionato in questa settimana è stata l'idea di Trump di dare le pistole ai professori. Io non voglio che l'Italia arrivi a cotanta barbarie. Salvini è quello che urlava Roma ladrona, che faceva inni contro i napoletani sostenendo che puzzassero, che bestemmiava durante le manifestazioni e ora brandisce il Vangelo. Non ne ho paura, ma è semplicemente un'altra cosa».
Il centrodestra si dice europeista, ma Salvini e Meloni preferiscono Orban e vogliono fare la guerra all'asse franco-tedesco. Lei può dirsi invece merkelian-macronista?
«Io sono europeista. Sogno gli Stati Uniti d'Europa, sogno l'elezione diretta del Presidente della Commissione, sogno il servizio civile europeo, sogno una difesa comune e un investimento comune nel 5G. Credo negli ideali di Ventotene. Ma proprio per questo voglio cambiare questa Europa che così com'è non funziona. Ci siamo riusciti nella parte legata alla flessibilità in questi anni, recuperando risorse importati per abbassare le tasse, ma la strada è ancora lunga».
E riemerso Berlusconi perché gli altri hanno fallito. Così si dice. Lei invece come spiega l'eternità di Silvio?
«Berlusconi ha preso il 25% alle Politiche 2013. E il 16% alle Europee 2014. Non è ritornato: semplicemente non se n'è mai andato. Ma comunque l'unica alternativa ai Cinque Stelle per il primo posto è il Pd, non Forza Italia. Fossi un moderato romano non voterei a destra stavolta, perché votando Forza Italia rafforzi Salvini, non i moderati».
I programmi, i programmi... Ma qual è la scossa programmatica del Pd per queste elezioni?
«La concretezza. Se volete un libro dei sogni non votate per noi. Ma se volete un Paese che sappia sognare concretamente, crescere e fare del proprio meglio non ci sono alternative al Pd. Almeno non ci sono stavolta».
Gentiloni si sta spendendo molto in questa campagna elettorale. Può essere lui la carta vincente?
«La carta vincente è una squadra di persone per bene e preparate. Gentiloni sta facendo bene il premier e dunque è uno dei nostri assi. Il suo contributo sarà decisivo per vincere il collegio Roma1, la sfida nella Regione Lazio, la partita nazionale».
Le fa piacere che Leu, cioè gli ex Pd, non sembri in gran spolvero in questa campagna elettorale?
«Non ho niente contro Leu. Solo che sta diventando evidente un punto: ogni voto dato a Leu nel collegio non aiuta la sinistra ma fa vincere la destra. Purtroppo per quanto paradossale questo possa apparire, ormai è così e lo sanno anche i più ostinati sostenitori della sinistra radicale. Perché votare D'Alema se rischi che quel voto finisca a sostenere un Governo Salvini, magari appoggiato all'esterno da Casapound?»
Il 5 marzo, se le cose non dovessero essere andate bene, lei dovrà affrontare le contestazioni interne. È pronto?
«Affronto contestazioni interne da sempre. Persino quando il Pd ha preso il 40%, risultato talmente storico da dover risalire al 1959 con Fanfani per trovare un dato analogo, mi hanno contestato. Anzi, da quel giorno mi hanno fatto la guerra in ogni modo per riprendersi la ditta. Penso che prima venga l'interesse del Paese. E dunque stop alle polemiche, facciamo lo sforzo finale per fare del Pd il primo partito. Il 5 marzo penso che avremo un risultato superiore alle aspettative, in queste ore i segnali positivi si moltiplicano».
E il rapporto con la Bonino? A sentirvi parlare non sembrate sempre alleati...
«Non ho niente contro Bonino. Siamo alleati, come pure con Lorenzin e la lista Insieme. Certo ci sono elementi di divisione programmatica. Sui migranti la mia linea è quella di Minniti, non della Bonino. Sull'economia io credo che non basti accettare austerity e fiscal compact, ma occorra investire in flessibilità e crescita. Lei parla di rimettere l'Imu, io l'ho tolta e non la rimetterò mai. In ogni caso rispetto tutta la squadra di Più Europa come loro rispettano noi. Siamo dalla stessa parte del campo per ciò che riguarda la battaglia contro le paure e gli estremisti».
Nel caso, sarebbe disponibile a un governo di unità nazionale, comprensivo anche dei grillini?
«Personalmente credo che non ci sia spazio per un governo con gli estremisti. E io considero i grillini particolarmente estremisti. Trovo surreale peraltro che desiderino i nostri voti per fare un governo dopo averci insultato per anni».
Non la convincono proprio i ministri che ha annunciato Di Maio?
«Hanno messo un olimpionico candidato al ministero dello sport ma non hanno ancora detto perchè hanno tolto a Roma la più grande occasione di sviluppo degli ultimi anni, le Olimpiadi. Se penso che nel 2016 a Rio de Janeiro tutti davano per scontato che avremmo vinto mi mangio le mani».
Insomma, è utile invocare il voto utile?
«Non è solo utile. È necessario. Meglio un voto utile oggi che un rimpianto inutile domani».