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Data: 03/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Grillo al fianco di Di Maio: finita l'era dell'opposizione

ROMA In piazza del Popolo il governo è ancora un hashtag, ovvero una parolina ossessiva che riempie le bacheche virtuali dei pentastellati. Luigi Di Maio spera di chiudere per sempre l'era dell'opposizione, e degli hashtag. «Nel 2013 siamo entrati in Parlamento da opposizione - ha detto dal palco - stasera quell'era finisce, inizia quella del governo». Grillo è tornato sul palco apposta. E ha eccitato la folla (circa 10 mila persone) con metafore intestinali. Lo ha fatto sul suo blog dove parla del M5S come della forza che rimuove «un intoppo, la casta che blocca il corso normale della democrazia nel nostro paese».
PALCO
E lo fa sul palco: «Con noi i partiti si sono sciolti come la diarrea, siamo rimasti noi e FI, diamo l'ultima spallata». Il grande nemico è di nuovo Silvio Berlusconi, come tanti anni fa, quando nel 2009 Grillo voleva iscriversi al Pd e non ci riuscì. Non abdica al vaffa però. «Può darsi che sia finito il periodo del vaffa - dice - il nostro diritto al grido. Quando c'era silenzio noi abbiamo gridato ed era giusto il nostro diritto al grido. Ma il Vaffa rimarrà, avremo un vaffino nel taschino». Persino Davide Casaleggio lo imita sul palco: «Questi anni siamo andati controvento, contro le ingiustizie, contro la Gomorra della politica!».
Di Maio sposta tutto il peso del M5S a sinistra. Nel suo discorso fa capire di volersi mangiare in sol boccone domani «il presunto centrosinistra» perché, dice, «per fortuna è fuori combattimento». E' certro: «Prenderemo tutti i collegi del Sud e molti del Nord». Inaugura il palcoscenico parlando proprio dei sondaggi: «Ne ho appena letto uno che dice che siamo a un passo dalla vittoria!». E sventola le nove pagine del primo decreto legge che intende fare come premier. Superfluo ricordare che l'incarico lo darà Mattarella? Un decreto choc per l'economia? No. Dimezzerà lo stipendio dei parlamentari, toglierà i vitalizi e taglierà 30 miliardi di sprechi e privilegi che girerà chi fa figli, chi perde il lavoro e ai pensionati.
Il pubblico lo acclama: «Presidente! Presidente!». Lui annuncia una vice, per palazzo Chigi: sarà Elisabetta Trenta, già designata ministro della Fifesa grillino.
Sul palco fa gli onori di casa una Virginia Raggi in versione rewind. Come se non fosse mai stata eletta la sindaca rispolvera i toni barricaderi: la colpa a Mafia Capitale, «l'incapacità sì», dice, incapacità di rubare. E toni color antipolitica che va sempre bene: «Noi dobbiamo completamente rivoltare il sistema dei partiti!». In quell'attimo arriva su whatsapp la politica istituzionale di Torino sotto forma di nota, sofferta, del bilancio di previsione che è lo sforzo massimo di essere all'altezza di quella parola che non è più un hashtag, governo, e che tra le pieghe mostra tanti mea culpa e allargamenti di braccia mimati nella tradizionale formula «coniugare il risanamento dei conti e un'adeguata offerta di servizi». A Torino la maggioranza di governo soffre, non c'è il 3 % ma la Corte dei Conti, e la consigliera Montalbano potrebbe lasciare presto i banchi del M5S.
In piazza del Popolo è tutta un'altra storia. Di Maio preme l'acceleratore sul sogno: «L'indicatore non sarà più il Pil, ma la felicità!». E come si misurerà? Non è chiaro ma per Di Maio è certo che «ormai il Pil non è preso più in considerazione nemmeno dagli economisti, ma solo dai vecchi politici che lo usano per giustificare i loro fallimenti. Per loro se il Pil sale dobbiamo essere tutti felici. Questo è il loro ragionamento. Io non capisco questo pensiero, non lo voglio capire. Lo voglio ribaltare!». E se Di Maio non vuole capire il Pil, si immedesima nei coetanei, nei loro desideri: «Voglio una famiglia, voglio una casa». Legge loro una lettera che punta al sentimento generazionale: «siamo andati a fare i cameroeri, abbiamo speso un sacco di soldi in affitto, mezzi pubblici e cellulari. Ci siamo inventati nuove professioni. Abbiamo creato startup. Abbiamo fallito innumerevoli volte». Il pubblico è decisamente diverso da quello dell'Eur il giorno prima.

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