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Data: 07/03/2018
Testata giornalistica: Prima da Noi
D’Alfonso ha deciso: «andrò a Roma ad onorare volontà popolare» La Regione torna al voto, centrosinistra a pezzi dovrà trovare candidato

ABRUZZO. Luciano D’Alfonso ha deciso e ha sciolto la riserva: si dimetterà da presidente della Regione e farà il senatore.

Nel primo pomeriggio di ieri aveva parlato della necessità di un confronto con i suoi per decidere cosa fare e poi, poco prima delle 20, ha ufficializzato la scelta: lascerà la Regione e andrà in Parlamento. Tutto sommato un confronto rapido e conoscendo la sua indole non è difficile immaginare che abbia fatto più o meno tutto da solo.

Persone a lui vicine avevano escluso fin da subito l’eventualità che D’Alfonso potesse rinunciare all’elezione sebbene non sia andata come voleva lui, che aspirava ad un posto da ministro «per far tornare l’Abruzzo al Governo».

Ed è stato proprio lui ad annunciare la scelta sulla pagina Facebook: «Come sono abituato a fare, onorerò il mandato popolare che ho ricevuto per rappresentare le esigenze dell’Abruzzo a Roma. Non appena la mia elezione sarà convalidata, si aprirà il procedimento previsto dalla norma per risolvere la questione dell’incompatibilità».

Del resto elaborare i dati a disposizione per scegliere non era cosa difficile vista anche la lunga lista di richieste di dimissioni che sono giunte in tempo reale da moltissimi ambienti regionali; annunci che se non altro renderebbero difficile la permanenza al governo della regione del governatore senatore. Una sorta di "incompatibilità ambientale" che D'Alfonso si è cercato in questi 4 anni di governo spadroneggiando e maramaldeggiando, umiliando detrattori, contestatori o semplici critici (che oggi però appaiono più illuminati) così che oggi deve guardarsi da colpi bassi e vendette che provengono non tanto dagli avversari quanto dagli ex amici emarginati.

L'incompatibilità prevista dalla legge, invece, imporrà elezioni a stretto giro, entro l’autunno, secondo l’ufficio del Consiglio regionale, servizio legislativo.

Ma D’Alfonso non ha nascosto che vorrebbe tentare di lasciare la guida in mano del vicepresidente Lolli fino alla primavera del 2019: «farò l’impossibile affinchè la Regione avrà la sua vita naturale. Se servirà», disse, «determinerò anche una tensione istituzionale che garantisca il massimo della vita possibile a questa Regione».

Dunque Regione nuovamente al voto e oggi D’Alfonso lancia un messaggio ai suoi che si ritrovano in un momento delicatissimo: non solo il Pd a pezzi ma anche alleati amareggiati e delusi.

« Sono certo » , dice D’Alfonso oggi, « che il Centrosinistra saprà mettere in campo i candidati migliori e più in grado di meritare il vincente consenso degli Abruzzesi già nel prossimo futuro, e in questo senso l’esempio che ci viene proprio oggi da Zingaretti nel Lazio ci è di non poco incoraggiamento» .



LA SCONFITTA DEL PD

Commentando i risultati del voto, D’Alfonso prende atto che è stata sancita «la sconfitta della proposta di governo del Partito Democratico».

«Le nostre ragioni - ha spiegato - sono apparse più deboli di quelle messe in campo dalle opposizioni di ieri. Certo sorprende la vastità del consenso a forze populiste e antieuropee e lascia non poche preoccupazioni lo scenario che si prepara per il Paese nell'incertezza dei numeri in Parlamento che al momento non lascia intravedere la possibilità di formare un Governo. Senza dubbio i vincitori di oggi, in particolare il Movimento 5 Stelle e la Lega di Salvini dovranno farsi carico di questo onere, dimostrando di saper realizzare quanto promesso nella loro efficacissima campagna elettorale».


ECCO COSA DICE LA LEGGE

Come avevamo scritto nelle scorse settimane la legge è chiara: «l’eventuale decadenza, o le dimissioni, del presidente della giunta, eletto a suffragio universale e diretto comportano lo scioglimento del Consiglio regionale, l’interruzione anticipata della legislatura secondo il noto principio del simul stabunt simul cadent e quindi il ritorno alle elezioni».

Dunque nel momento in cui D’Alfonso sarà proclamato senatore (entro fine marzo) si apre un doppio percorso.

Primo: cominciano a scorrere i 30 giorni di tempo (e si arriva a fine aprile) durante i quali avrà l’obbligo di comunicare la novità alla Giunta per le elezioni.

Secondo: partirà d’ufficio l’iter da parte della Giunta per le elezioni attraverso una delibera di contestazione all’interessato, quando la Giunta verrà a sapere della nuova nomina.

Poi entro 5 giorni la segreteria di presidenza dovrà notificare a D’Alfonso la deliberazione di contestazione e lui avrà 10 giorni per presentare controdeduzioni.

Entro i 10 giorni successivi il Consiglio delibera sulla relazione della giunta per le elezioni. Se il Consiglio ritiene che ci sia incompatibilità (come farà a ‘smentirlo’?) il presidente del Consiglio inviterà immediatamente il presidente a scegliere, entro 5 giorni, cosa fare.

In pratica il collega di partito, Giuseppe Di Pangrazio, gli formulerà la fatidica domanda: «che fai Luciano? Resti in Regione o vai al Senato?» Si potrebbe arrivare, insomma, al massimo a metà maggio.

Se non ci pensa lui a decidere il Consiglio regionale, entro 5 giorni, lo dichiarerà decaduto. E a quel punto, entro 3 mesi, bisognerà tornare al voto.

Con l’estate di mezzo l’autunno sembra la prima data utile.

Sembra difficile immaginare che si riescano a stiracchiare così tanto i tempi ed arrivare alla fine naturale che oggi D’Alfonso si augura.

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