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Data: 07/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Fs, i conti di Mazzoncini salvati dai pendolari ma il caos ritardi è costato 1,7 miliardi al Paese

ROMA Un punto di Pil, cioè 1,7 miliardi. Un cifra rilevante che fotografa il costo annuale per il sistema Paese del malfunzionamento dei treni regionali in Italia. Un danno economico che non ha paragoni in Europa. Causato dalle non poche inefficienze di una gestione, quella che fa capo all'amministratore delegato delle Fs Renato Mazzoncini, più attenta alle mosse della concorrenza sull'Alta Velocità, dove i disagi sono limitati, che al buon funzionamento dei convogli regionali, quelli che trasportano ogni giorno 3 milioni di pendolari.
Una cifra alla quale quest'anno andrà aggiunto il grave danno del caos-neve a Termini, costato secondo alcune valutazioni non meno di 400 milioni.
I DETTAGLI DEL VULNUS
Il calcolo del vulnus per le aziende e i viaggiatori lo hanno fatto le associazioni dei pendolari raggruppate in Assoutenti che fanno notare come a fronte di un peggioramento del servizio, sopratutto nelle ore di punta, ci sia paradossalmente un fiume di risorse pubbliche incassate dalle Ferrovie. Si tratta dei contratti di servizio stipulati dalla controllata di Fs Trenitalia con le Regioni. Contratti che stabiliscono gli incrementi tariffari per i cittadini e, di converso, anche i costi per gli enti locali che sussidiano le Ferrovie dello Stato.
I sindacati fanno notare che molto spesso proprio le Regioni non sanno che pesci prendere quando si trovano di fronte alle proposte delle Fs, perché non conoscono nel dettaglio i costi standard affrontati da chi offre il servizio e quindi non sanno come e fin dove trattare sul prezzo. Di certo in questa contrattazione le Fs, che godono di una posizione dominante e che guardano con sospetto anche la concorrenza sul territorio, non ci perdono visto che gli ultimi dati relativi a questo tipo di servizio non sono affatto negativi. Analizzando il bilancio 2016 di Trenitalia, si nota come il servizio passeggeri regionale abbia chiuso con un margine operativo lordo in aumento del 9,2%, passando da 718 milioni nel 2015 a 784 milioni nel 2016. «Tutto ciò grazie essenzialmente all'aumento dei ricavi da prestazioni», cioè dei ricavi a valere sui contratti di servizio.
LA CORSA AI RINNOVI
E in prospettiva il trend non sembra cambiare. Un esempio è il contratto di servizio con Trenitalia rinnovato a gennaio con la Liguria: di durata allungata a 10 anni (più altri 5) dai 6 precedenti, gli aumenti tariffari del 20% sono previsti dal 2021-2022. Ebbene , il flusso di cassa per le Fs vale vale 1 miliardo. «Il servizio - dicono Enrico Pallavicini, coordinatore di Assoutenti e il presidente Furio Truzzi - non è purtroppo migliorato, i treni sono obsoleti e i ritardi si sono cronicizzati». Anche qui si aspetta con ansia l'arrivo in servizio dei nuovi convogli previsto per la fine dell'anno ma che era stato promesso molto tempo fa. Un problema che riguarda tutte le Regioni, specialmente le meridionali, stressate per anni da una cura durissima a base di tagli dei servizi e aumenti contestuali dei biglietti. Complice, va detto, anche una politica dei trasporti nazionale che non ha favorito il ferro, ma alla quale la gestione Mazzoncini non ha saputo opporre efficaci alternative. Due numeri, al di là delle problematiche legate alla manutenzione, sintetizzano i disagi dei pendolari: solo 7 anni fa erano in circolazione il 6,5% dei treni regionali in più e il 20% di Intercity. Un taglio grave che mette in luce una politica aziendale più impegnata a diversificare fuori dal territorio che a concentrarsi sulle questioni aperte in casa propria. Eppure, spiega Pendolaria nel suo rapporto, il gap tra tagli ai servizi e aumenti dei biglietti è evidente. Basti segnalare che in Emilia Romagna nel periodo 2010-2017 i primi si sono ridotti del 3,8% mentre le tariffe sono cresciute del 19,1%; in Ligura tagli dell'8,1% e un aumento che sfiora, sempre in 7 anni, il 49%. Non va meglio in Sicilia, Sardegna. Lazio o Umbria.

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