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Data: 10/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Prove di maggioranza. No alle alleanze spurie, ecco i veti degli elettori. Il centrodestra punta sull'appoggio esterno

ROMA Gli 11 milioni di elettori 5Stelle stanno iniziando a fare i conti con la complessità. E' una delle sfumature che emergono dal sondaggio SWG su come gli elettori dei vari schieramenti vorrebbero risolvere il rebus della governabilità italiana.
Emerge una spaccatura in tre del popolo pentastellato con una lieve propensione per il centrodestra. Il 32% di chi il 4 marzo ha votato 5Stelle è infatti favorevole ad una alleanza di governo con la Lega. Al versante opposto, al Pd, guarda il 28% dei pentastellati e un altro 28% non vorrebbe allearsi con nessuno. Per la verità resta da segnalare anche che un elettore M5S su 10 (per la precisione il 12%) risponde di non sapere cosa suggerire.
IL QUADRO
«Dalla radiografia degli elettori pentastellati emerge un quadro piuttosto frastagliato - spiega Enzo Risso, direttore SWG - Se la leggera predisposizione verso il centrodestra indica che la maggioranza dell'elettoraro grillino viene da quell'area politica, si può affermare che gran parte delle persone che hanno votato M5S sono ormai totalmente post-ideologiche». L'altra considerazione che Risso fa sui primi segni di evoluzione post voto dell'elettorato pentastellato è che la sua larga maggioranza (circa il 60%) considera inevitabile scendere a patti. «E' un po' come se stessero facendo i conti con la realtà», sottolinea Risso.
E gli elettori degli altri schieramenti? Nel loro sondaggio-lampo (campione di 1.000 soggetti) gli analisti di SWG hanno inquadrato gli orientamenti sia dei leghisti che dei Democrat. I seguaci di Matteo Salvini la pensano così: il 53% è favorevole al fatto che il loro leader guidi un governo che cerchi i voti in Parlamento; il 31% vorrebbe un esecutivo di programma con i 5Stelle; l'8% vede di buon occhio l'alleanza con un'ala del Partito Democratico; il 3% vede all'orizzonte un governo tecnico e il 5% non sa.
TRIPOLARISMO ASIMMETRICO
Resta da riferire degli elettori Democrat. Di fronte alle due opzioni di un governo di centrodestra o di uno a guida 5Stelle la maggioranza degli elettori Pd sceglie l'opzione starne fuori. Ma è significativo che il numero dei dinieghi sia assai diverso. Mentre l'81% dei votanti Pd è contrario ad appoggiare un governo Salvini, solo il 61% dei Democrat è per il niet ad un esecutivo a guida Di Maio.
«In questo modo si torna, sia pure solo virtualmente, al funzionamento del cosiddetto tripolarismo asimmetrico - nota Risso - In pratica, come avviene spesso alle comunali con il ballottaggio del secondo turno, gli elettori Pd tendono ad essere un po' più indulgenti con chi sentono meno lontano». Non a caso il 35% dei democratici accetta in qualche modo di ipotizzare un appoggio al M5S, il 19% sotto forma di appoggio esterno e il 16% con una partecipazione diretta nella compagine governativa.
Solo il 16% degli elettori del Pd prende in considerazione un appoggio ad un governo di Centrodestra, con il 12% favorevole all'appoggio esterno e il 4% che ipotizza ministri Pd seduti accanto a quelli della Lega.

Il centrodestra punta sull'appoggio esterno

ROMA Matteo Salvini e Luigi Di Maio stringono ogni giorno di più l'assedio al partito che fu di Matteo Renzi. E' una partita d'attesa e attendista, di logoramento (del Pd), disputata sotto le bandiere di guerra che Sergio Mattarella ha invitato ad ammainare. E per questa ragione ancora decisamente incartata.
Salvini, come aveva fatto Di Maio, chiede ufficialmente il sostegno del Partito democratico, i cui voti (o astensione) sono essenziali per far nascere qualsiasi governo. Lo fa senza fare concessioni. Dice che il premier dovrà per forza essere lui. Sostiene che l'esecutivo dovrà essere politico, di centrodestra e dunque non il governissimo vagheggiato da Silvio Berlusconi. Lancia la minaccia che più allarma il Cavaliere e il Nazareno, che devono riorganizzarsi per sperare in una ripartenza: «Se il governo non sarà politico, si va sparati alle elezioni». In più Salvini scandisce slogan euroscettici rispondendo a Mario Draghi: «Stare nell'euro è irreversibile? Di irreversibile c'è solo la morte».
IL VIA LIBERA DEL CAV
Sembrano mosse studiate per mettere Berlusconi sempre più in difficoltà. Ma è una trattativa, lunga e dolorosa. All'inizio si spara forte, per poi concedere qualcosa. Inoltre ad Arcore guardano con favore all'idea di proporre l'appoggio esterno o la non fiducia al Pd: «Quel che Matteo fa per far nascere un governo va bene». Del resto questa soluzione è stata già prospettata dal capogruppo uscente Renato Brunetta. E viene rilanciata dal suo omologo in Senato, Paolo Romani: «Siamo quelli più favorevoli a questa ipotesi, l'appoggio esterno dei Partito democratico è la soluzione. Ma, se accadrà, ci si arriverà tra tre mesi». Dopo il logoramento della premiership di Salvini, come auspica il Cavaliere. E forse dopo un'implosione del Pd che resiste sulla linea: «Opposizione a tutti i costi».
«In quel partito non si sa con chi parlare», chiosa il leader leghista che per ora tiene alta la sua candidatura a palazzo Chigi. Una frase che serve a fotografare il marasma in cui sono precipitati i dem e a seminare divisioni: «Spero che nel Pd ci sia qualcuno disponibile a dare una via d'uscita al Paese». In via Bellerio, ma anche ad Arcore, si scommette infatti che proprio da una lacerazione dei gruppi parlamentari dem possano arrivare i voti per far decollare il governo di centrodestra. Non a caso Salvini è molto attento alle voci che parlano di una possibile divisione dei deputati e dei senatori del Pd e spera che l'implosione venga innescata «tra qualche mese» dagli appelli del Quirinale alla responsabilità, dai mercati finanziari in tempesta e dal rischio concreto di precipitare verso nuove elezioni.
Di Maio non sembra impressionato: «Tranquilli, al governo andremo noi, se ci sarà un esecutivo Lega-Forza Italia-Pd prenderemo i popcorn e vedremo aumentare ancora di più il nostro consenso». E in questa guerra di posizione fa come Salvini: strizza l'occhio al Pd sul fronte della tenuta dei conti pubblici, dicendo però che non ci sono subordinate al suo nome per palazzo Chigi. Ma in realtà tratta a 360 gradi. Non a caso è pronto a incassare la presidenza della Camera che il leader leghista è tornato a proporre ai Cinquestelle.
LO SCAMBIO
Quella delle prime poltrone da assegnare è ormai una telenovela. All'inizio era stato Di Maio a offrirla. E l'aveva assegnata al Pd, come antipasto di un eventuale intesa di governo. Poi Lega e Cinquestelle avevano programmato lo scambio. Adesso, dopo qualche giorno di silenzio, rilanciano lo stesso schema, dove a Montecitorio dovrebbe andare Roberto Fico o Emilio Carelli e a palazzo Madama Roberto Calderoli. A meno che Salvini non dovesse puntare su Giancarlo Giorgetti alla Camera.
Il riemergere di questo schema sconsiglia di archiviare, di definire impossibile, la nascita di quella che Renzi chiama «coalizione populista». E il battesimo, nonostante le smentite, di un esecutivo tra Cinquestelle e Lega. Con un problema: il colore e il nome dell'eventuale premier. L'indicazione di Danilo Toninelli a capogruppo del Senato, l'uomo che ha condotto la trattativa sulla legge elettorale, la dice però lunga sulla volontà grillina di mediare.

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