ROMA La stagione della reciproca diffidenza è finita. Dopo anni di tentativi a vuoto, caratterizzati persino da una intesa separata che nel 2009 escluse la Cgil, Confindustria e sindacati arrivano finalmente a dama sulla riforma del contratto collettivo nazionale. Una svolta che, di fatto, archivia ipotetici interventi di legge con cui scavalcare le parti sociali, come quel salario minimo accarezzato da alcuni governi negli ultimi anni. Secondo gli accordi sottoscritti ieri, il trattamento economico minimo resterà comunque legato all'indice dei prezzi anche se potrà essere eventualmente modificato dai contratti di categoria. E tra le novità di rilievo, la definizione di nuove regole sulla rappresentanza sindacale da applicare, per la prima volta in assoluto, anche alle imprese. La filosofia di fondo che caratterizza l'accordo («Nelle fasi difficili le parti sociali si compattano: dalla stagione del conflitto siamo arrivati a quella del confronto, a partire dalle fabbriche» ha spiegato il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia) è la creazione di regole che si ispirino comunque a una «governance adattabile».
COSA CAMBIA
Dunque via libera a contratti ritagliati in base alle necessità e ai bisogni di categorie diverse e di settori produttivi differenti. Per questo il contratto nazionale, che resterà articolato su due livelli, il nazionale e l'aziendale (o il territoriale, dove esista) individuerà non solo il Tec (Trattamento economico complessivo) ma, appunto, anche il Trattamento economico minimo (Tem) la cui variazione avverrà, si legge nel documento messo a punto dalle parti, «secondo le regole condivise nei singoli contratti nazionali in funzione degli scostamenti registrati nel tempo dall'indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri della Comunità europea, depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati come calcolato dall'Istat». In busta paga, inoltre, entreranno anche eventuali forme di welfare: il trattamento economico complessivo, infatti, sarà costituito dal salario minimo e da tutti i trattamenti economici, dunque compreso il welfare, che il contratto collettivo nazionale di categoria qualifica come «comuni a tutti i lavoratori del settore». Per quanto riguarda la contrattazione aziendale, il secondo livello, invece, l'accordo punta ad incentivarne uno «sviluppo virtuoso», sia quantitativo che qualitativo. Tra gli altri capitoli su cui Confindustria e sindacati lavoreranno attraverso specifiche intese, il welfare aziendale, la formazione e le competenze la sicurezza sul lavoro e il mercato del lavoro. Un tema, quest'ultimo, che mette al centro la gestione delle molteplici situazioni di crisi che agitano il Paese attraverso un utilizzo flessibile degli ammortizzatori sociali per la salvaguardia dei livelli occupazionali. Soddisfazione in ambito sindacale. «Si tratta di un investimento che facciamo sulla funzione della contrattazione e sull'autonomia delle parti sociali: veniamo da una stagione in cui è stata messa in discussione» ha sottolineato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. «È un accordo che sottolinea il valore sociale del lavoro. Abbiamo assistito ad una campagna elettorale non bella sul lavoro, noi pensiamo che questo accordo concorra alla crescita del Paese» ha affermato la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan. «Il Paese si è espresso con il voto, l'economia è in leggera ripresa e con questo accordo dobbiamo favorirne il decollo» ha ammonito invece il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo.