ROMA Cercasi successore di Renzi disperatamente. Al Nazareno si contano le ore che mancano alla riunione della direzione nazionale. L'appuntamento è nel pomeriggio di lunedì, alle 15, con all'ordine del giorno la presentazione ufficiale delle dimissioni del segretario. Provvisoriamente ne prenderà il posto il suo vice, Maurizio Martina, almeno fino all'assemblea nazionale di metà aprile, dove si apriranno i veri giochi per la successione. Solo che il Pd non può perdere tempo, perché incombono le scadenze dell'avvio di legislatura: l'elezione dei presidenti delle Camere, le consultazioni al Quirinale, la formazione del nuovo governo, temi sui quali l'unità del partito in questo momento non è granitica. Renzi e i suoi fanno il tifo per un'alleanza tra i Lega e cinque stelle, che sposterebbe Di Maio a destra e darebbe al Pd l'opportunità di recuperare i voti di sinistra finiti al M5s. In questo schema per il Pd c'è solo una strada: quella dell'opposizione dura, senza accordi sulle presidenze delle Camere. Ma la linea comincia a scricchiolare. Il capogruppo Ettore Rosato, netto nel dire che al Pd «l'opposizione non fa paura» e che devono governare coloro che hanno vinto le elezioni e che hanno «programmi e toni comuni», dice che il Pd potrebbe accettare la presidenza della Camera se questa gli venisse offerta in quanto principale partito di opposizione (come accadde al Pci nella prima Repubblica che portò alla presidenza di Montecitorio Pietro Ingrao e Nilde Jotti). «Sarebbe una scelta intelligente per chi la propone. Ma certo è che noi non domandiamo nulla», spiega Rosato, un renziano che ha anche un buon rapporto con Dario Franceschini (e guarda caso il nome di Franceschini gira con insistenza per la presidenza della Camera). Ma per l'elezione delle cariche istituzionali ci sono ancora due settimane da attendere. Invece riguarda l'oggi il nodo principale che deve sciogliere urgentemente: la scelta di chi prenderà il posto di Renzi. Per ora in campo c'è Nicola Zingaretti, l'unico Pd uscito bene dalla notte del 4 marzo con la vittoria alla regione Lazio. Il suo nome potrebbe funzionare come richiamo per i seguaci di Grasso e Bersani (Liberi e Uguali fa parte della coalizione che ha fatti vincere Zingaretti). Per contrastare il progetto del governatore del Lazio, i renziani puntano le loro carte sul ministro Graziano Delrio. La speranza è di farlo eleggere direttamente dall'assemblea di metà aprile, dove i numeri sono dalla loro parte, e tenerlo in sella fino al 2021. Il ministro ancora non si pronuncia, ma da quello che trapela c'è un forte pressing per convincerlo ad accettare la sfida. Chi vuole il cambiamento punta invece a una gestione collegiale che duri qualche mese, per organizzare meglio l'assalto al fortino renziano.A invocarla è il presidente della regione Piemonte Sergio Chiamparino, che vorrebbe vedere insieme Delrio, Zingaretti, Calenda e Veltroni nel ruolo di traghettatori. Altro governatore che si scalda ai box è il pugliese Michele Emilianoche propone un 'intesa con M5s.