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Data: 12/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
I renziani: Matteo non è il solo colpevole E il Pd chiude a M5S

ROMA Non sarà una resa dei conti, ma neanche un mero passaggio formale. Perché al di là della liturgia che si compirà come da Statuto, gli interventi, le presenze (ma anche le assenze) racconteranno molto di un partito in cui nessuno ha intenzione di mollare, tanto meno il segretario dimissionario.
Dunque, alle 15 la Direzione del Pd prenderà ufficialmente atto di quel passo indietro che Matteo Renzi ha messo nero su bianco in una lettera consegnata a Matteo Orfini.
I PASSAGGI
Come previsto dalle regole interne, la reggenza sarà assunta dal vice segretario Maurizio Martina e il nodo del successore sarà rinviato a un'assemblea nazionale che si dovrebbe tenere entro il 5 aprile, ma la data potrebbe ballare di qualche giorno.
Nessuna sorpresa in vista (a meno che l'ex premier non decida alla fine di presentarsi), ma l'idea dei renziani - che pure hanno smentito di avere in programma un summit preparatorio - è quella di rendere chiaro in Direzione che il numero uno uscente non si congeda, che la linea è sempre quella tracciata sin dal giorno successivo alla sconfitta: «Il Pd sta all'opposizione, niente accordi con Di Maio».
LE POSIZIONI
Lo ribadisce, in altri termini, Matteo Orfini. «Io penso che qualora dovessimo decidere di sostenere un governo guidato dai Cinque stelle o insieme ai Cinque stelle, sarebbe la fine del Partito democratico». Ed è quello che, nella sua relazione, dirà Martina, ben sapendo di avere su questo anche la sponda di Dario Franceschini e Andrea Orlando. Mentre Michele Emiliano - che in mattinata riunirà gli esponenti di Fronte democratico - continua, unico, a tenere la porta aperta, ipotizzando un «appoggio esterno».
Tra i renziani si prepara già la battaglia sui prossimi capigruppo, nella convinzione che il vero snodo passi dal Parlamento. L'obiettivo è far vedere che la maggioranza è ancora nelle mani del segretario uscente che ai suoi smentisce l'idea di farsi un partito suo. E poi aggiunge che non c'è quello smottamento in atto di cui vanno parlando i leader delle minoranze. Quei capi corrente a cui Orfini lancia una stoccata: no - dice - a chi pensa di fare di Matteo Renzi un «capro espiatorio». «Chi ha avuto responsabilità nel partito e chi ha fatto il ministro in questi cinque anni» ha la sua quota parte di colpe.
I TEMPI
I prossimi trenta giorni saranno dunque decisivi perché si intrecceranno due partite: quella parlamentare, con la scelta dei capigruppo, l'elezione dei presidenti delle Camere e le consultazioni al Quirinale (dove non andrà Renzi), e in parallelo l'apertura del percorso che porterà alla scelta del nuovo segretario. Per i renziani, coerenti con il motto «tocca ai vincitori l'onere di governare», è «legittimo» che a spartirsi gli scranni più alti di Montecitorio e palazzo Madama siano Movimento5stelle e Lega.
Tutta da giocare è, invece, la partita per la nuova segreteria dem. Le strade sono due: la prima è che l'assemblea scelga un nuovo numero uno che potrebbe restare in carica fino al 2021. È questo il percorso caldeggiato dai renziani che potrebbe trovare d'accordo anche gli uomini di Franceschini a patto che si dia vita a una gestione «collegiale» del partito e che la guida non sia espressione di una sola parte. Per questo, forte appare il nome di Graziano Delrio, renziano delle origini, ora considerato autonomo. E in questo caso (la maggioranza del partito è nelle mani di Renzi) si allontanerebbero le primarie.
Altra strada è quella di nominare un segretario traghettatore, sul modello Epifani dopo Bersani, che apra poi una fase di primarie e congresso. Un'opzione per cui preme Emiliano e che sarebbe più congeniale anche a Nicola Zingaretti, candidato sostenuto dagli orlandiani.

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