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Data: 12/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Voto, metà degli italiani cambia ad ogni tornata

ROMA Il polverone sollevato dal voto del 4 marzo riempie ancora occhi e polmoni ma, a sette giorni dall'apertura delle urne, emergono nuovi elementi che aiutano a cifrarne senso e direzione.
Il primo è l'estrema mobilità dell'elettorato italiano. Il sorprendente voto 2018 si colloca dopo quelli altrettanto forti del referendum di fine 2016 , delle europee del 2014 e delle politiche del 2013. In tutt'e quattro le occasioni l'orografia dell'elettorato italiano è mutata moltissimo. Milioni di persone, dunque, sono alla ricerca di un nuovo equilibrio mentre prosegue a tappe forzate lo scioglimento dei blocchi sociali ed elettorali legati alla fase del bipolarismo 1994-2013. «I nostri carotaggi ci segnalano che ormai solo il 50% degli italiani vota come ha fatto la volta precedente, l'altra metà è in marcia verso una nuova meta», assicura Enzo Risso, direttore della società di ricerche SWG.
LO SCIOGLIMENTO
Una prova? Lo scioglimento, domenica scorsa e a soli 14 mesi di distanza, dell'iceberg elettorale renziano di 13 milioni di Si (pari al 40% del totale) al referendum istituzionale del dicembre 2016. Secondo i flussi analizzati da SWG solo il 41%, fra gli italiani che scelsero il Si, domenica scorsa hanno votato Democrat. Il 25% si è spostato verso il centrodestra: il 12% si è schierato con le bandiere della Lega, l'11% con quelle berlusconiane e il 2% ha scelto la Meloni. Oltre 2,5 milioni di italiani del Si, il 20% del totale, questa volta hanno riversato sui Cinquestelle la loro domanda di innovazione e il 3%, infine, ha scelto i Liberi e Uguali di Pietro Grasso.
Altro segnale di estrema mobilità dell'elettorato italiano viene dalla radiografia dell'esercito degli astenuti del 4 marzo, composto da circa 12,6 milioni di italiani.
Ebbene, sempre stando ai numeri SWG che ha dedicato uno studio ad hoc al fenomeno, oltre il 23% degli astenuti del 4 marzo, ovvero tre milioni e fischia di italiani, ha scelto di non votare non per disinteresse o per protesta ma perché «non c'è alcun partito che mi rappresenti».
«Questo significa che la lunghissima transizione italiana dopo la fine della Prima Repubblica non è ancora finita - sottolinea Risso - Il voto 2018 non sembra essere il punto d'equilibrio di quelle placche tettoniche elettorali che hanno cominciato a muoversi dal 2013. Moltissimi italiani devono ancora trovare un loro punto di approdo definitivo o semi-definitivo. Anche i blocchi sociali dietro il voto sono in piena ridefinizione e chiedono un'offerta politica che il 4 marzo ha soddisfatto solo parzialmente. In altre parole il voto del 2018 ha le caratteristiche di una fase di passaggio che lascia spazio a nuovi, possibili, rimescolamenti di carte in presenza di novità».
La lettura di Risso è condita da numeri interessanti. A suo dire è meno vero di quanto si creda che il Sud, votando 5Stelle, abbia chiesto assistenza assorbendo elettorato Pd. Così come è solo un lato della medaglia la richiesta di protezione (dagli immigrati e dalla crisi) segnalata al Centro-Nord dal passaggio di due milioni di voti dal vecchio Pdl alla Lega. «L'incrocio fra i flussi e le analisi dell'elettorato ci dice che solo il 10% dell'elettorato 5Stelle vota per il reddito di cittadinanza - spiega Risso - Il fatto è che gran parte dell'elettorato italiano ha usato M5S e Lega per far fuori le élites. Con alcune differenze: gli elettori di centro-sinistra hanno scelto M5S o il non voto per sfiduciare la loro classe dirigente litigiosa, sia Pd che di LeU, mentre il voto alla Lega è più strutturato ideologicamente intorno alla parola d'ordine prima gli italiani e dunque segnala la formazione di un primo nuovo baricentro culturale, meno liberista e più protezionista».

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