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Pescara, 24/11/2024
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Data: 14/03/2018
Testata giornalistica: Il Centro
Occupazione, l'Abruzzo guadagna seimila posti nel 2017 ma per l'80% sono a tempo. I segnali di ripresa ci sono, soprattutto nel Pescarese, ma i contratti sono per lo più a termine e i salari bassi. L'economista Mauro: c'è un reale problema di innovazione

PESCARA L'Abruzzo archivia il 2017 con un piccolo passo avanti nel mercato del lavoro (+1,1 per cento, 491 mila occupati), anche se il centro-nord si allontana dopo aver agganciato in pieno la ripresa e recuperato il terreno perduto dalla grande crisi del 2008, mentre le regioni del Sud inseguono guadagnando terreno (+1,2 per cento). Come rileva l'Istat nel report pubblicato ieri, la nuova occupazione è trainata soprattutto dai dipendenti a tempo determinato, che nella media annua salgono in Italia a 2 milioni 723 mila, aumentando di 298 mila unità, contro il rialzo di 73 mila unità per gli indeterminati. Così è anche in Abruzzo dove, sui seimila nuovi posti di lavoro, 4.800 sono a tempo determinato. I migliori risultati si hanno in provincia di Pescara 146mila occupati in totale (+ 3,3 per cento), grazie al forte impulso del terziario, segue Teramo (+2,2 per cento), quindi Chieti, la provincia più industrializzata, (0,1 per cento), mentre arretra L'Aquila (-0,9 per cento) anche per effetto della crisi che ha colpito l'edilizia. Per l'economista Giuseppe Mauro dalle rilevazioni dell'Istat emerge comunque «una tendenza espansiva che coinvolge l'Europa e in misura minore l'Italia. In questo scenario si inserisce l'Abruzzo».Che però, professore, non brilla. «La crescita dell'occupazione, pur importante dopo anni di intensa disoccupazione, appare significativa ma non rilevante rispetto al 2016. E rispetto al periodo precrisi mancano all'appello 20mila unità di lavoratori, un dato più alto rispetto al resto d'Italia (-3,9 per cento contro lo 0,3 per cento).Inoltre l'aumento dei posti di lavoro non contiene i germi della qualità. Si tratta per l' 80 per cento di lavoro precario e a tempo determinato, attività di routine, con tutti i risvolti negativi che ciò comporta: un calo demografico dovuto alla bassa natalità, instabilità, presenza di un modello squilibrato tra gli inclusi e gli esclusi, tra i giovani e gli anziani, dove all'incertezza si associa il basso salario». Ma allora chiediamoci perché l'Abruzzo cresce poco e perché è ancora così lontano dai numeri pre 2008.«C'è una questione di carattere generale e una più specifica nostra. La prima si situa all'interno dei comportamenti strategici dell'Italia e dell'Europa, aspetti non di rado sottovalutati o dimenticati».Può spiegare?«Per una regione aperta come l'Abruzzo la spinta alla crescita può venire dalle riforme messe in campo dallo Stato, penso alle misure per la riduzione del fisco e della spesa pubblica, o al trasferimento di risorse dalle rendite al lavoro. Ma anche l'Europa gioca un ruolo, per esempio rispetto alle politiche di welfare, che si sono sempre retti su significativi margini di autonomia politica. Oggi l'Europa impone vincoli che limitano le misure espansive».E non ci sono segnali di cambiamento...«A meno che non si impone all'Europa una revisione dei trattati sul lato della crescita e della condivisione dei rischi». Come intervenire in Abruzzo?«Al momento i punti fermi dello scenario economico sono la globalizzazione e la concorrenza. Al centro dunque bisogna porre la competitività se non si vuole una regione divergente rispetto alle altre regioni del circuito virtuoso. Uno studio della commissione europea mostra che l'Abruzzo soffre di un forte deficit di competitività: siamo al posto 198 su ben 263 regioni analizzate,e mostriamo proprio nelle componenti connesse agli aspetti tecnologici e innovativi il punteggio più deludente. Occorre quindi porsi obiettivi più articolati rispetto a quanto si trova nei documenti ufficiali».Può precisare?«La nostra economia non può reggersi solo su una gamba, quella della grande impresa, insieme a un ristretto numero di Pmi, ma anche sulle unità minori. Occorre dunque un piano strategico lungimirante, che riduca la frammentazione del nostro settore produttivo, dove una moltitudine di piccole imprese non sono in grado di investire in innovazione per problemi di costi o per carenze manageriali. Se vogliamo consolidare la crescita dobbiamo rafforzare l'altra gamba, quella delle piccole e medie imprese, aumentarne la soglia dimensionale, la capitalizzazione, favorire le alleanze strategiche, la partecipazione a fiere, l'accesso al credito».C'è anche il problema di rendere più attrattivo questo territorio. «Certo, vuol dire efficienza della pubblica amministrazione, creazione di economie di contesto, come la logistica, adeguamento antisismico, sviluppo delle energie rinnovabili. Ma c'è anche un ulteriore modello da sviluppare che è il binomio manifatturiero-ambiente. L'Abruzzo nel manifatturiero ha già dei punti di forza, se riesce a rafforzare e a crescere nel circuito del turismo può produrre nuova ricchezza, rafforzare le aree interne, evitare il dissesto idrogeologico e la fuga della popolazione».


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