ROMA Luigi Di Maio agita lo spettro delle urne, approfitta del tutto sommato normale, ma pericoloso per lui, stallo post voto, e ricomincia la campagna elettorale inseguendo i sondaggi che lo danno in crescita. Ieri ha incontrato lo stato maggiore di Confcommercio, che prima delle elezioni non gli aveva steso i tappeti rossi che ha srotolato ieri (non lo aveva voluto proprio incontrare), e poi nel tardo pomeriggio ha ricevuto la telefonata di Matteo Salvini. L'ultimo contatto pubblico era stato a una trasmissione televisiva dove il segretario del Carroccio gli aveva dato del democristiano.
CONFRONTO
Ora i leader di M5S e Lega hanno inaugurato una trattativa sull'elezione dei presidenti delle Camere. Ma c'è di più: il dialogo è aperto anche alla modifica della legge elettorale. Non è un confronto aperto in prospettiva di un governo insieme, dicono entrambi. Ma intanto le uniche due forze politiche che hanno i numeri per governare hanno iniziato a parlarsi.
C'è all'orizzonte un governo gialloverde? «No», risponde un luogotenente di Di Maio. «Non abbiamo fretta di apparentarci subito con qualcuno, lo scouting sarà lungo e lento». Perché la nuova veste iper istituzionale che indossa Di Maio prevede una strategia a 360 gradi: fare campagna acquisti a destra e a sinistra. Già dentro di sé il Movimento ha inglobato vecchi comunisti e forzisti consumati. «Non sarà difficile attrarne altri», commenta la stessa fonte. «Aver preso il 32% significa che siamo il vero partito della nazione, abbiamo una gamma di sensibilità molto ampia al nostro interno», racconta. E quindi? «E quindi a Pd e FI non conviene tornare al voto, faremo un Nazareno bis con i loro fuoriusciti», azzarda. Operazione spericolata ma soprattutto ambiziosa che dimostra la consapevolezza del Movimento di essere diventato un grande incubatore senza connotazioni immediatamente riconoscibili.
Intanto, quello che si riconosce a occhio nudo è l'europeismo spinto di Di Maio che ieri all'incontro con Confcommercio ha illustrato la sua visione del Def. Non c'è il reddito di cittadinanza. Impossibile inserirlo se come ha detto ieri Di Maio è indispensabile non fare deficit. «La spending review è importante, prima di parlare di sforamento del deficit, andiamo a recuperare i soldi spesi male e investiti male», ha detto. Nel Def per Di Mano vanno inserite misure che scongiurino «gli aumenti Iva previsti a partire dal 2019 e legati alle famigerate clausole di salvaguardia che i precedenti governi ci hanno lasciato», ha detto. Bisogna tenere a mente la platea a cui ha parlato: la Confcommercio, un tempo bacino di voti berlusconiani.
E, fatto nuovo, Di Maio non ha negato che ci sia una ripresa economica. Fino a poche settimane fa il Paese era allo sfascio, strozzato dalla crisi. La strategia del leader M5S prevede il saccheggio sistemico delle eredità positive del governo uscente: dal Reddito di inclusione all'Industria 4.0. In campagna elettorale non si poteva dire.
Ora lo si può accennare ma con molta prudenza, sottovoce, con parole nuove. «La ripresa dei consumi e la fiducia dei cittadini sono ancora deboli: non possiamo permetterci di soffocarle, bisogna anzi dare ulteriore respiro ai bilanci delle famiglie italiane», ha osservato Di Maio.
Ai commercianti ha poi parlato di un fondo a sostegno delle Pmi del comparto, di tutela per gli albergatori tradizionali contro il dumping degli affittacamere online. Arriva anche la proposta sul fronte lavoro, dove Di Maio rivaluta persino i voucher criticati nella passata legislatura con un'opposizione durissima dei deputati M5S in commissione lavoro (si opposero finanche alla revisione compromissoria voluta dalla dem ed ex cigiellina Patrizia Maestri). «È poi necessario colmare il vuoto lasciato dall'abolizione dei voucher. Serve uno strumento che dia flessibilità al datore e nello stesso tempo diritti al dipendente», dice il Di Maio ubiquo ed elettorale ma che perla prima volta adotta il tema della flessibilità.
Infine, adotta in toto la propiosta di Carlo Sangalli, numero uno di Confocommercio, la local tax, «alla quale ricondurre tutti i tributi locali».