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Pescara, 24/11/2024
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Data: 16/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il piano B del Pd: appoggio esterno a Giorgetti premier per evitare il voto

ROMA Al Nazareno c'è chi non si rassegna. Il rischio di un governo sovranista e populista battezzato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini e il pericolo concreto di precipitare a breve verso nuove elezioni, spinge i dem a tentare di far naufragare la trattativa tra Cinquestelle e Lega. La speranza: la nascita, dal caos e dall'impasse che ne seguirebbero, di un governo di tregua o di un governo di tutti. Un epilogo che troverebbe d'accordo perfino Matteo Renzi ancora attestato sulla linea «opposizione o morte», al contrario di Dario Franceschini e del numeroso partito dei responsabili in fervente attesa delle mosse di Sergio Mattarella.
Per provare a stoppare Di Maio e Salvini (che ieri è però tornato a parlare di coalizione, raffreddando la pista dello strappo ai danni di Forza Italia) i dem aprono al dialogo istituzionale con i grillini, ma in realtà progettano di fare i guastatori. I Cinquestelle vogliono la presidenza della Camera? Ecco Ettore Rosato proporre il leghista Giancarlo Giorgetti: «E' una persona stimata, siamo pronti a votarlo». I leghisti puntano alla presidenza del Senato? E il Pd medita di sostenere il forzista Paolo Romani, il nome caldeggiato da Berlusconi: «E se ci riesce gli facciamo saltare il giocattolo». Con due grossi problemi. Il primo: se la Lega fa l'accordo con Di Maio, Giorgetti il Pd se lo voterebbe da solo. O quasi. Il secondo: numeri alla mano, i voti di Forza Italia e dei senatori dem non bastano per portare Romani alla presidenza. «Ma a molti grillini e a molti moderati non va giù l'intesa populista e qualche sorpresa potrebbe saltare fuori», incrociano le dita al Nazareno.
Trabocchetti a parte, c'è chi come Franceschini, etc. segretamente aspetta segnali concreti dai Cinquestelle. Non tanto per agguantare improbabili poltrone, quanto per sventare la «minaccia populista» e, soprattutto, le elezioni che finirebbero per massacrare definitivamente il Pd. Ma in pochi credono in questo epilogo. E non ci credono perché sanno che l'operazione non avrebbe i numeri sufficienti: per far nascere un governo Cinquestelle-Pd dovrebbero arrivare i voti di tutti i deputati e di tutti i senatori dem. E Renzi preferirebbe spaccare il partito, piuttosto che suicidarsi facendo nascere un esecutivo guidato da Di Maio.
LA TENTAZIONE-GIORGETTI
Stesso discorso per un eventuale appoggio esterno al un governo di centrodestra guidato da un moderato. L'idea in sé potrebbe pure passare, lo stesso Renzi potrebbe avallarla. Ma al Nazareno sanno che anche questa «operazione è impossibile», in quanto Salvini «farebbe saltare tutto e stringerebbe l'intesa con Di Maio. Se però dovesse spuntare Giorgetti, l'epilogo potrebbe essere diverso...». Non sono insomma casuali gli elogi di Rosato a Giorgetti che, da presidente della Camera, avrebbe anche una gradita veste istituzionale.
Insomma, il Pd assiste ai margini e allarmato alla grandi manovre pentastellate e leghiste. «In questo momento dobbiamo restare uniti e immobili. Non spetta a noi fare proposte, il pallino ce l'hanno in mano gli altri», fotografa la situazione Matteo Ricci, responsabile degli Enti locali.
Però la speranza di un governo di tregua o di tutti continua a galleggiare. Lo fa capire Paolo Gentiloni quando rilancia lo slogan di Mattarella: «C'è bisogno di serietà e coraggio per dare un futuro al Paese». Lo dice chiaramente Carlo Calenda: «Se il capo dello Stato proponesse un governo di transizione, è giusto che lo appoggi anche il Pd».
Questa speranza si lega all'auspicio che alla fine il patto Cinquestelle-Lega salti. E le crepe già si intravedono. Perché Di Maio deve fare i conti con i malumori di una parte della base contraria al lepenista Salvini. E perché al capo leghista «quel patto non conviene»: «Ora è il leader del centrodestra, se fa un governo con Di Maio farebbe il gregario». Analisi condivisa al Nazareno: «Due leader che puntano al bipolarismo populista farebbero fatica a governare insieme e poi a presentarsi agli elettori come acerrimi nemici. E chi farebbe il premier?».

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